Recensione: Reconciliation

Di Paolo Fagioli D'Antona - 14 Agosto 2024 - 0:37
Reconciliation
Band: Almo
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2024
Nazione:
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80

Oggi vi parliamo del debutto musicale del progetto Almo, ideato dal mastermind e polistrumentista svedese Benjamin Almö Thorsen, che ha già militato nella band Frozen Realm (band melodic death metal scioltasi nel 2019) e partecipato a numerosi altri progetti fino ad arrivare ad intraprendere nel 2018 l’inizio della scrittura del suo nuovo progetto che ha visto luce solamente nel 2024. Anche se si tratta principalmente di un lavoro solista, il buon Thorsen si è avvalso dell’aiuto di diverse figure quali Viktor Forsse (per gli aspetti più legati alle parti di batteria), Fredrik Lars Nilsson (per uno specifico assolo di tastiera) e Lulu de la Rosa per quanto riguarda produzione e mixaggio ed altre parti di tastiera).

Il disco rappresenta concettualmente un viaggio molto personale per il protagonista, dove egli stesso vuole fare pace con i demoni del suo passato per andare oltre sia dal punto di vista strettamente musicale che umano. Un concept album molto ambizioso questo, che riporta in mente un mix delle sonorità dei vari Haken , Periphery, Devin Towndsen e molto altro. Questo disco seppur ottimamente prodotto, suonato e in tutta la sua indole complessa, stratificata ed estremamente elaborata, suona tuttavia un pelo troppo derivativo e decisamente troppo influenzato dalle band che abbiamo citato. Sicuramente un fattore questo che ci ha un pochino frenato nell’apprezzare l’album più di quanto abbiamo fatto e credo che questo punto possa rivelarsi un problema per molti altri ascoltatori. Già, perché le composizioni in tutta la loro solennità, grandiosità e varietà, ad ogni istante sembrano richiamare un qualcosa di già sentito musicalmente; che siano i vocalizzi alla Cockcroach King in stile Haken, le grandiose parti sinfoniche che spesso sfociano in delle vere e proprie sezioni in blast-beat in pieno stile symphonic black metal con un tocco molto wintersuniano o anche le parti più puramente djent alla Periphery. L’album con la sua ora di durata propone tanta, tantissima carne al fuoco sin dalla prima traccia Rain, che si apre con un pianoforte e la voce pulita del vocalist sa coinvolgere ed emozionare sia nelle sue parti in pulito che in quelle in growl. Ed a proposito di growl, già nel finale di questo pezzo, che dura solo tre minuti e cinquanta, si sentono le prime grandiose sezioni sinfoniche con il growl di Thorsen che già compare sul finale. La traccia è legata alla successiva Vilsen che passa dai suoi riffoni djent e super-groovosi a sezioni più martellanti fino ad aprirsi in delle bellissime sezioni semi-acustiche che richiamano non poco i già citati Haken. Il pezzo sa essere pesante e melodico allo stesso modo con delle sezioni progressive interessanti e delle parti sinfoniche altrettanto belle. Ma le prime due tracce sono solo un piccolo antipastino di quello che il buon Thorsen ha in serbo per noi. È con Hope infatti che arriva la prima suite dell’album con i suoi nove minuti e passa di durata per un brano che si apre in maniera cinematica ricordando un po’ quelle colonne sonore di Hollywood in stile Jurassic Park e, per quanto ci riguarda, sono proprio queste sezioni sinfoniche e cinematiche alcuni dei punti di forza dell’album, ricordandoci la grandiosità delle orchestrazioni di band come Rhapsody o Wintersun. Non mancano in questo pezzo sfumature jazz e aperture melodiche di gran gusto che suonano davvero eteree e sognanti, nonché un bellissimo assolo di chitarra prima che il pezzo si rituffi nuovamente nella sua pomposa epicità. Va detto che la produzione di questo disco è davvero immacolata, cristallina e il mixing risalta alla grande gli strumenti quando servono. Non mancano su Hope delle squisite parti folk che addolciscono il pezzo sul finale. Tanta, tanta cane al fuoco! E siamo solo al terzo pezzo del disco! Bliss ci fa assaggiare l’anima più prog ma allo stesso tempo melodica della band con tempi dispari e sezioni alla Haken risultando forse un pochino mielosa a tratti ma sempre varia e intrigante con un pathos in crescendo sul finale. In Dreams spezza l’album con un interludio strumentale prettamente sinfonico e delicato prima di addentrarci in Winterhound che ci offre dei blast-beat furiosi e tiratissimi e delle sezioni sinfoniche sul finale da pelle d’oca così come la successiva PANIC ATTACK!!! Senz’altro il pezzo più pazzerello, progressivo ma allo stesso tempo pesante dell’album, dove tutta la creatività del buon Thorsen esplode in questo grande tributo al maestro Devin Townsend e non solo. Gli shift e la dinamicità di questo brano non lasciano respirare l’ascoltatore un attimo, mentre l’album si chiude con una lunga suite da venti minuti che dà il titolo al disco, probabilmente la composizione più bella del platter.

Che dire dunque di questo Reconciliation degli ALMO? Un disco incredibilmente ambizioso che mischia sezioni prog intricatissime, riff dallo stampo djent, orchestrazioni maestose e cinematiche, sezioni symphonic black metal con blast-beat serratissimi, stacchi folk e sezioni acustiche, una produzione e un mixaggio perfetto e delle composizioni elaborate, avventurose e ben scritte. Il punto debole del disco è la sua mancanza di originalità, in quanto sembra veramente di assistere ad un collage di spezzoni musicali composti da Devin Towndsen, Between The Buried And Me, Haken, Periphery e talvolta i Wintersun. Le influenza dell’artista sono ben riconoscibile ma fin troppo evidenti sono le somiglianze tanto che il piacere dell’ascolto è per quanto ci riguarda un pochino smorzato da un sound che tende ad essere fin troppo derivativo. Ma passando oltre a questo fattore la musica è ispirata e di livello da tutti i punti di vista, rendendo questo un disco che non annoia ma anzi si ascolta con grande piacere nonostante la sua durata importante.

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