Recensione: Reconnect ‘N Ignite
I danesi Fate sono il classico gruppo che si rispetta a prescindere.
Per tanti motivi, per la coerenza, per la lunga militanza, per l’aver resistito alle mode, essere scomparsi e poi riapparsi nuovamente senza mai avere la pretesa di essere determinanti o fondativi di un genere particolare.
Di origine antica e nobile (siamo negli anni ottanta e li conosciamo come la creazione dell’ex chitarrista dei Mercyful Fate, Hank Shermann), il gruppo nordico è stato protagonista di una prima parte di carriera di discreto successo sulla scorta del nome significativo da cui ha avuto spunto. Oggi sono per lo più un buon esempio di resilienza all’insegna del fiero ed integerrimo underground.
I toni si sono induriti parecchio. Poco AOR a questo giro, a vantaggio di un melodic rock intenso ed elaborato, con chitarre taglienti al servizio di melodie ai limiti dell’heavy che non hanno praticamente più nulla in comune, (anche in termini di line-up) con la band nata nei big eighties. Rimane piuttosto una qualità più che dignitosa della proposta musicale, così come da sempre, anche in occasione di questo nuovo capitolo. Che, detto per estrema chiarezza, è tutt’ora meritevole di essere preso in considerazione.
Le trame dei brani, in effetti, non sono mai banali. L’equilibrio tra heavy metal e facilità d’ascolto, una costante ben distribuita lungo le canzoni. Il songwriting riesce ad essere abbastanza fantasioso e vario tanto da sconfinare a tratti nel prog.
Non è tutto perfetto: ci sono momenti un po’ ripetitivi, qualche filler ed un paio di passaggi in cui, al secondo o terzo ascolto, si cerca il tasto “skip”.
Ma sono eventi limitati: la gran parte della dotazione ci descrive un album “serio”, ben costruito, con i numeri buoni per reggere il confronto con molti dei suoi competitori attualmente in circolazione.
Insomma, “Reconnect n’Ignite” è un buon disco, con molte frecce al proprio arco. Il chitarrismo dinamico e spumeggiante di Torben Enevoldsen, un po’ di ritornelli azzeccati, la voce di Peer Johansson con sufficiente personalità e “graffio”.
Non sono ovviamente più i Fate di “A Matter of Attitude”. Tuttavia, con pezzi come “Around the Sun“, “Hold On” e “Children of a Lesser Sun” l’offerta che propongono è ancora valida e di livello concorrenziale.
Pur in una scena ormai iperaffollata entro la quale è ormai praticamente impossibile emergere come un tempo.