Recensione: Recycler
Tra i vari gruppi southern rock che sono riusciti storicamente ad esportare dagli “Stati Confederati” al resto del mondo la propria miscela di blues, hard rock e country, gli ZZ Top hanno sempre giocato un ruolo determinante. Osannati in patria (Texas) quasi come dei feticci, i tre pittoreschi musicisti si sono ritagliati un proprio spazio nei cuori dei rocker sparsi nel globo terracqueo grazie anche ad un’arma in più rispetto ad illustrissimi colleghi come The Allman Brothers Band, Lynyrd Skynyrd, Blackfoot o Black Oak Arkansas (tutte band andate di diritto nell’Olimpo del genere, a scanso di equivoci) e cioè quella di essere entrati nell’immaginario collettivo per un look ed un’attitudine unici nella storia di questa musica, con un semplice quanto efficace espediente: mantenere lunghe e folte le due inconfondibili barbe. Ovviamente tutto ciò non è sufficiente a spiegare un successo che deriva soprattutto da un’incrollabile abnegazione, dal non essersi mai venduti (ricorderete il loro recente rifiuto ad una cifra davvero importante per tagliarsi la barba in uno spot pubblicitario), dal non aver mai cambiato formazione e dall’aver gestito in maniera esemplare una carriera che dura da circa quarantacinque anni, pubblicando un numero mirato di dischi qualitativamente a livelli sempre medio-alti.
L’album in questione, ovvero “Recycler”, non esula di certo da queste considerazioni, anche se può essere valutato come l’album del rilancio, dato che negli Ottanta, dopo aver pubblicato un capolavoro come “Eliminator” (1983), i Nostri hanno dato alle stampe “Afterburner” (1985), un buon disco che tuttavia aveva un po’ snaturato il loro sound, assimilando elementi della musica pop rock americana di quel periodo. Elementi come una produzione patinata che smussava la spigolosità della chitarra, alcune soluzioni che definire commerciali sarebbe eccessivo, ma in un certo senso un po’ ruffiane, l’uso di sintetizzatori, parti campionate e batteria simil artificiale. Un po’ come fecero i Judas Priest con “Turbo”, disco dell’anno successivo. L’album vendette bene, grazie probabilmente all’onda lunga di “Eliminator”, ma fu anche oggetto di mugugni di una parte dei sostenitori, non del tutto soddisfatti del prodotto finale. Ecco allora che “Recycler” arriva in parte come il tentativo, riuscito, di recuperare il terreno perduto. Di mettere in chiaro una volta di più quelli che erano e sono tutt’oggi lo spirito e lo stile inconfondibile degli ZZ Top.
Missione compiuta, dicevo. Anche perché “Recycler” è un album assolutamente compatto. Le atmosfere sono di nuovo ruvide e polverose, la chitarra dannatamente graffiante e le melodie accattivanti quanto basta. Ogni singolo brano ha le caratteristiche necessarie per essere pubblicato come singolo di successo (ed in effetti molti verranno utilizzati come singoli e videoclip), a partire da “Doubleback” che farà da traino all’album apparendo nella colonna sonora di Ritorno Al Futuro III, film di qualche mese precedente all’uscita del disco, nel quale gli ZZ Top fanno tra l’altro un’apparizione mentre la suonano in una versione country/folk/western. Tutte le canzoni, comunque, meriterebbero menzione, perché ciascuna contiene gli elementi che hanno fatto le fortune del trio texano. Dal piglio deciso ed energico di “Concrete And Steel” al ritmato blues elettrico di “My Head’s In Mississipi”, che ci catapulta direttamente in quei luoghi suggestivi. Dal groove accattivante di “Lovething”, con la quale è impossibile rimanere fermi, alle vigorose schitarrate di “Burger Man” con quel ritornello che si stampa immediatamente in testa. Per non parlare della passionale “2000 Blues”, caratterizzata da note sentite e avvolgenti ed un Gibbons ispirato che sembra quasi un cantante nero da quanto è calda e profonda la sua voce. E non crediate che le tracce che non ho citato siano da meno.
A ben guardare “Recycler” non raggiungerà le vette artistiche di “Eliminator”, ma rappresenta un tassello comunque cruciale nella loro discografia. Un album fresco ed ispirato, che riporta sui giusti binari gli ZZ Top a comporre ed eseguire la musica a loro più congeniale, quella marchiata a fuoco nelle loro viscere. Permane qualche elemento tipicamente ottantiano che aveva sminuito il suo predecessore, ma su questo disco diventa più marginale, rendendolo meno legato a quella decade. Abbastanza da rendere “Recycler” un prodotto appetibile anche ai giorni nostri. Perciò se ancora non lo conosceste, ma apprezzate quanto proposto negli anni dagli ZZ Top, non pensateci troppo e recuperatelo.