Recensione: Redemption

Di Eric Nicodemo - 3 Ottobre 2014 - 8:00
Redemption
Band: Saracen
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2014
Nazione:
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84

 

La suddivisione in generi musicali è una “scienza” non esatta per la presenza di gruppi che uniscono stili diversi all’interno della stessa proposta. Probabilmente, i Saracen saranno più inquadrabili di una crossover band ma è indubbio che i Nostri hanno coniato un sound ibrido, in bilico tra l’heavy classico, il pomp e l’hard rock, con alcune influenze progressive.

Il risultato di questa miscela portò in dote “Heroes, Saints & Fools” nel lontano 1981, che pose le basi per uno dei moniker più amati tra i complessi di culto, senza mai ottenere l’attenzione meritata, nemmeno dopo il più immediato “Change Of Heart” (1984), secondo full-lenght del combo. Inaspettatamente, i Nostri risorsero dalle ceneri a partire dal 2003 e, in seguito, rilasciarono il notevole concept “Marilyn”, dimostrando che la “lama” del Saraceno non si era ancora incrinata.

L’indomito complesso britannico ritorna quest’anno con “Redemption”, nuovo album che ritrova nelle figure di Steve Bettney e Robert Bendelow i leaders indiscussi del progetto. Ancora una volta, l’ennesima fatica dei Saracen è un crocevia di potenza e melodia, due aspetti uniti dall’epica voce di Bettney, che dipinge armonie tanto imperiose quanto delicate nello scenario musicale del disco.

Per rendere l’idea, basta varcare la soglia di “Rocamadour” e ci troveremo subito al cospetto di un panorama dove svettano tastiere tristi ed altisonanti. La convivenza tra potenza e intimo diventa evidente quando dal riff incalzante si passa al delicato cullare del coro. La livrea delle tastiere e lo struggente ricamo della sei corde evocano visioni surreali, facendo cavalcare la nostra immaginazione verso confini inesplorati. Nient’altro che fantasia al potere.

Dopotutto, ogni album dei Saracen è un racconto introspettivo, metafora della vita reale, tra messaggi e figure emblematiche. “Reacher”, canzone ispirata a Jack Reacher, protagonista delle novelle di Lee Child, valica ancora il confine del reale per parlare alla nostra sfera affettiva. Alimentato da un riff minaccioso, il brano avanza verso di noi mentre i suoni dei synts si sollevano come nebbie spettrali. Da questi nubi il singer emerge con il consueto pathos lirico e i vibrati sovrastano l’ascoltatore nel loro canto suggestivo. La tensione si spezza e il coro fluisce etereo attraverso di noi, allontanandosi dall’aggressivo riff iniziale.

Ancora attimi di poesia trapelano dal pianoforte di “Give Me A Sign”. Bettney con flemma teatrale inscena un ritornello così struggente da diventare una preghiera. Onore al guitar play solista, sempre dotato di un’anima.

Riff energetici e tastiere alimentano “Geraldine” e, se il ritornello è uno strano simposio dove i demoni dell’heavy e gli angeli dell’AOR siedono allo stesso banchetto, le chitarre esprimo ancora grande carica passionale.

I Saracen non possono sottrarsi alle origini del proprio monicker e cavalcano verso le terre d’Oriente in “Swords Of Damascus”. Potenza e poesia sono un connubio irrinunciabile per questi inglesi, che inebriano i nostri sensi con miraggi e sanno scuoterci con il ferro della sei corde e del basso. Nel finale, le tastiere intessono un suono acuto e drammatico, una foresta fitta ed impenetrabile, che preannuncia il triste epilogo di questo “folle volo”.

E’ interessante notare che anche nell’hard rock di “Road To Yesterday” non viene meno il marchio di fabbrica dei Saracen: le illusioni degli anni settanta si materializzano sempre con quella delicata, vibrante epicità trasmessa dall’ugola maestosa di Steve, bruciato dalla passione come una malattia incurabile.

La componente NWOBHM si fa sentire nei vibrati saettanti di “Catch The Wave” mentre l’inaspettato hammond omaggia il settantennio. Da questi semi germoglia una jam session rigogliosa di scorci chitarristici, di inserti pianoforte e divincolanti synts, rivoli del prog che scorrono vivaci e copiosi nelle “acque” di “Catch The Wave”.

Trascorsa l’alta marea di “Catch The Wave”, “More Than Missing You” si colora di tastiere meno imperiose e più pomp/AOR. In puro stile Saracen, la song è una festosa commistione, dove convivono dolci ritornelli fatati e la verve guizzante del guitar work.

Redemption (on the 6th day)” è la title track che diventa un brano lacerato da emozioni contrastanti: all’inizio, si respira un’atmosfera ricca di tensione ed aspettative mentre un plettraggio ci sospinge impaziente. Il velo d’attesa si squarcia e i Saracen si lanciano prontamente all’inseguimento. La foga si placa, i synts scintillano e la voce intima ed affettiva lenisce le ferite. Ecclettismo e sentimento redenti in un’unica canzone.

You & I” parla ancora un linguaggio poetico, tradotto nei dolci rintocchi della chitarra amica. L’intesa tra Bettney e l’ospite Karensa Kerr partorisce una melodia toccante e mai artificiosa. Il lascito di questa ballad è un momento di “umile” intimità nel panorama epico del platter.

A scrollarci il torpore accumulato ci pensa la grinta di “Let Me See Your Hands”. Ma questo rude hard rock è solo un pretesto per condurci in cielo con le ali del coro (“…Let’s your voice touch the sky…”). Immancabile l’intervento di Bendelow, capace di accendere di romanticismo ed energia l’affascinante guitar solo.

Abbiamo lasciato indietro due brani, nello specifico “Crusader” e “Ready To Fly”. Come gli intenditori sapranno, queste due tracce sono pezzi estratti dall’esordio “Heroes, Saints & Fools”, riproposti in “Redemption”. “Crusader” è la canzone simbolo del gruppo: mentre il soldato lascia la sua patria, dichiarando il proprio amore, la strada della guerra e della sofferenza risuona nei fendenti di Bendelow. La chitarra, vera protagonista del brano, si trasfigura in assoli fatti d’emozioni. Il finale è una galoppante fuga che si libra sulle ali di un breve, diretto coro, dal carisma angelico e dalla tempra di un guerriero.

Con “Ready To Fly” l’album raggiunge il giusto epilogo, facendoci spiccare l’ultimo volo. Se l’incanto del refrain è rimasto intatto, non ci sono parole per descrivere la bellezza della prova di Bendelow: gli assoli si colorano di tonalità mai discordanti, le note si intrecciano e si muovono in una tensione paradossale, descrivendo l’ascesa adrenalinica del guerriero che vuole con i suoi artigli ghermire il sole. Una canzone memorabile, che fa vivere ad occhi aperti leggende sopite, risvegliando la nostra voglia di sognare.

Tralasciando “Vox In Excelso” e “Marilyn”, “Redemption” rappresenta la vera resurrezione del combo, che propone uno stile in genere privo di stereotipi e surrogati. Come da tradizione, i Saracen possono contare sul talento di Bettney, che sfoggia una performance vocale invidiabile, per nulla scalfita dal tempo. Degno di menzione il songwriting, prodigo di momenti di pura elegia, grazie al contributo ispirato di Bendelow. Laddove i Nostri riprendono alcuni stilemi (come i vibrati maideniani di “Catch The Wave” e gli inserti tastieristici in stile “hammond”), la sensazione di già visto è mitigata e spazzata via grazie al peculiare sound, che, unendo influenze diverse e cambi di tempo, riesce ad ottenere un risultato inaspettato ed interessante. Gli inserti strumentali sanno sempre essere appassionanti e mai dispersivi, noiosi o fini a se stessi.  

In definitiva, si preferisce puntare più sulla visione d’insieme (coro, digressioni soliste, synts evocativi) piuttosto che su un singolo riff ammiccante o solo sulla forza di un ritornello riuscito. Opinabile, invece, la scelta di riproporre “Crusader”  e “Ready To Fly”. Comunque, non si tratta di aggiunte fatte per sopperire eventuali, gravi lacune del platter: la tracklist, infatti, si regge perfettamente in piedi da sola, e due pezzi dello stesso valore di “Crusader”“Ready To Fly” avrebbero solo migliorato la già ottima valutazione. Forse, la “pecca” (per così dire) più grande del disco risiede proprio nella natura stessa della proposta dei “Saracen”: un sound così ibrido ha un target di sicuro non molto vasto, dato che potrebbe non piacere ai puristi ovvero agli incalliti hard rockers, agli amanti più intransigenti dell’AOR oppure ai tipici fruitori di solo “metallo pesante”. Senza menzionare tutti coloro che rifiutano sonorità dal gusto retrò…

Se, invece, non avete pregiudizi di sorta (stile, genere, suono, etc) e gradite sonorità enfatiche ma impegnate, d’estrazione vintage, “Redemption” riuscirà a sorprendervi.

Eric Nicodemo

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