Recensione: Redemption
L’opera di ripescaggio della Minotauro Records pare non volersi arrestare mai! L’ultimo nato all’ombra della statua della Minerva proviene dagli Usa, più precisamente da White Bear Lake, Minnesota. Redemption, seconda uscita sempre marchiata dalla label di Pavia, segue Dark Horse del 2014. Il combo oggetto della recensione è quello dei Craving Angel, un ensemble di metallari d’altri tempi che non si fa mancare nulla, ma proprio nulla, per suonare retrò. A cominciare dalla produzione e del bilanciamento dei suoni: entrambi fottutamente d’antan per proseguire con la copertina, ficcante, in linea con l’attitudine mediamente tradizionalista degli ‘Angel e la serigrafia sopra il Cd con teschi a profusione.
La storia artistica degli americani prende quota nel 1984 e rimane a galla per un decennio circa, senza segnare alcun colpo al bersaglio grosso per quanto afferente la casella delle uscite ufficiali. Le uniche tracce tangibili si riassumono in un demo su musicassetta – ça va sans dire – del 1987, ovviamente autoprodotto, contenente quattro pezzi. L’immagine del gruppo richiama i Dokken e i Pretty Maids del periodo, sebbene la proposta degli uomini del Minnesota sia più diretta. E anche di livello medio inferiore… Mastermind dei ‘Craving il solo Buddy Hughes, unico membro superstite della formazione originaria, cantante, che in occasione di Redemption,si affianca a Jimmy Cassidy (Chitarra, batteria) ed Erick Wright (basso). L’uscita Minotauro si avvale di un booklet di otto pagine con tutti i testi dei vari brani e una foto a doppia centrale della band in azione alive.
Se con Dark Horses i Nostri andavano a ripescare pezzi del passato remoto, questo nuovo nato, sulla carta, si compone di tracce inedite. Le linea editoriale però si mantiene la stessa: Redemption, sebbene si strutturi su diciassette brani, non fa altro che ricalcare i tempo che fu, in ambito hard’n’heavy oltre oceano, durante la metà degli anni Ottanta: HM duro ma senza esagerare, hook sempre in stato di allarme ed aperture alla melodia tutta.
Scansando qualche filler davvero di troppo Redemption giustifica la sua presenza sul mercato con una manciata di canzoni riuscite: “Dirty Girls“, posta in apertura a formare il ponte temporale con gli anni Ottanta del Sunset Boulevard, fra riffoni e cori che acchiappano al primo passaggio. Impossibile rimanere a Los Angeles senza scomodare i Gunners: ecco quindi pronta “Chrash and Burn” seguita poco dopo dall’alcoolica “Hells Waiting“, per lo scriba l’highlight del disco. Irresistibile il refrain di “Freak Show“, nella sua semplicità stradaiola e, per chiudere, un paio di lentoni e affini Docg a cominciare dalla sinuosa “Everything I Do“, per chiudere sulle note di “Roses are Red” in versione acustica.
Redemption: carino, interessante, vintage, ma per decollare per davvero avrebbe dovuto essere molto più focalizzato, da parte della stessa band…
Stefano “Steven Rich” Ricetti