Recensione: Reflections Of The I
Inizio subito con il giustificare quel “black” che trovate qui sopra.
Sicuramente -diciamolo fin dall’inizio- i Winds non fanno black, eppure non sono con precisione definibili con altre etichette, nessuna delle quali calza loro alla precisione. Sicuramente un po’ progressive, magari un po’ gothic, in realtà nessuno di questi generi, con i suoi canoni più o meno precisi può essergli affibbiato. Ed allora, aprossimazione per approssimazione, ho preferito classificarlo [forse esagerando] come black, per tributare un omaggio a questi musicisti ed al movimento black metal in generale.
Mi spiego: la mia tesi [che so già da adesso incontrerà feroci opposizioni] è che il black metal sia oggigiorno il “genere” metal che più si è evoluto e più e stato oggetto di sperimetazioni dalla sua nascita ad oggi, senza [e qui è il punto più indigesto] perdere nulla [o quasi] del suo spirito iniziale. Rompere gli schemi e dire di no al mainstream, questa è da sempre la filosofia del black metal, e procedere sempre verso la sperimentazione sonora più personale e fuori da qualsiasi stilema, è ciò che innumerevoli gruppi Black hanno fatto fin dai primi anni ’90 e -questo è il punto- continuano a fare, con soluzioni musicali nuove, incuranti delle -miopi- critiche dei blackster più bacchettoni, che li vorrebbero sempre uguali a loro stessi. Non per nulla il black -e i suoi svariati emissari- nasce e si evolve in quel terreno musicalmente fertilissimo che è la Norvegia, paese che dal punto di vista dell’avanguardia musicale tout court è tra i primi d’Europa.
E’ un pò la classica questione su cosa significhi essere “estremi” [è più “estremo” un album EBM/Industrial o un album dei Mortician? Cosa si intende per estremo?] e mi limito qui a citare uno dei casi più lampanti di questo fenomeno: i mai abbastanza lodati Ulver.
Ora, l’album in questione è suonato da musicisti che oltre ad essere tutti di un livello tecnico impressionante provengono -almeno tre su quattro- da formazioni di puro Black Metal. Devo ad esempio ricordarvi che Jan Axel Von Blomberg è quell’Hellhammer che è tra i fondatori dei Mayhem e che suona su quel “libro sacro” del black che è “De Mysteriis Dom Sathanas”? Allo stesso modo Carl August Tidemann fu membro degli Arcturus, gruppo tra i primissimi a comparire sulla scena black norvegese, addirittura sul finire degli anni ’80, oggi evolutosi tanto da diventare, a mio parere, il vertice della sperimentazione in questo campo. Detto poi che Lars Eric Si è l’ex bassista dei Khold rimane solo il mastermind del gruppo, il pianista Andy Winter, -con la sua formazione da musicista classico- a rimanere fuori dall’orbita Black Metal. Non posso nascondervi la mia ammirazione per dei musicisti dalla mente così artisticamente aperta, capaci di passare con disinvoltura dal Black Metal più grezzo alla sopraffina e cesellata complessità di un album come questo. In particolare non ho mai tenuto celato il mio immenso rispetto per quell’immenso batterista che risponde al nome di Jan Axel Von Blomberg, le cui collaborazioni come session musician o come membro effettivo con i più disparati gruppi non si contano più. Oltre a questi Winds mi limito a nominare i già citati Mayhem, gli Arcturus, gli Shining e i Kovenant.
Comunque sia, è mio dovere cercare di darvi un idea di cosa si suoni su questo album. Bene, potremmo definirlo con un buon grado di approssimazione un “neoclassical metal con venature progressive”. Il punto fondamentale è che Andy Winter, compositore di tutti i pezzi, voleva un incontro tra partiture classiche e ritmiche metal, ed è quello che ha ottenuto.
Oltre a quattro musicisti già citati infatti, Winter si è avvalso della collaboarzione di un quartetto d’archi della Oslo Philharmonic Orchestra, sempre presente -ma mai invadente- nell’architettura dei brani. Non aspettatevi assolutamente orchestrazioni “stile Therion”, gli archi sono sempre lievi e ariosi senza mai sconfinare nel prolisso e nel retorico, ed insieme al piano di Winter costrusicono armonie sfumate ed atmosfere soffuse, spezzate dall’ingresso di basso e chitarra ritmica -mai troppo pesanti, ma corpose- o da sognanti duetti volino-chitarra con Carl August Tidemann. La fusione e l’alternanza dei due strumenti è qui portata a livelli di eccellenza raramente raggiunti: non basta mettere un violino sopra una ritmica di chitarra, bisogna riuscire a far dialogare i due strumenti dandogli pari dignità, e questo è possibile solo grazie ad un chitarrista sopraffino quale è Tidemann.
Egli fa infatti valere la sua militanza nel gruppo progressive Tritonius, dispensando assoli ultratecnici e barocchismi che fanno la parte del leone per la maggior parte dell’album, lasciando a bocca aperta un ascoltatore impreparato alle corse sfenate su e giù per le scale del virtuoso chitarrista norvegese [da ascoltare quelle nella splendida “Passion’s Quest”], comunque mai eccessivamente magniloquenti e fini a loro stesse, sempre perfettamente integrate nello spirito classico/barocco che aleggia per tutto l’album.
Oltre che a sostenere questa complessa ed alternata struttura melodica, la batteria di Jan Axel Von Blomberg si permette continui virtuosismi, in paricolare i suoi caratteristici giochi di piatti, volando leggero con le bacchette e ricamando ritmiche complesse e scherzose. Da ascoltare a questo proposito la meravigliosa strumentale per archi, piano e batteria “Premonition”.
Per finire la voce di Lars Eric Si ci accompagna soave, e le sue linee vocali volano malinconiche e sognanti sopra questo “palazzo barocco” musicale.
Un album ricercato -e trovato- fin nei minimi dettagli. Sicuramente più “metal” del suo predecessore -l’EP “Of Entity and Mind”- “Reflections Of The I” riesce dove tanti hanno fallito nell’unire -senza forzature e retorica- armonie classiche con ritmiche e sonorità più marcatamente metalliche. Da segnalare anche lo splendido artwork -capace di cogliere perfettamente lo spirito della musica- di quel genio della matita di Travis Smith, e le liriche -tutte composte da Winter- ermetiche e cariche di introspettività.
A volte da “supregruppi” come questo -che fanno sperare in risultati mostruosi fin dalla loro fondazione- escono prodotti sotto la media, o come minimo sotto le aspettative. Qui non è proprio il caso, un album di debutto che rimarrà una gemma nel panorama metal più “di nicchia”, da ascoltare con parsimonia, tenendolo da parte per le occasioni adatte, come una buona bottiglia di vino.
1. Clarity
2. Realization
3. Of Divine Nature
4. Transition
5. Passion’s Quest
6. Reason’s Desire
7. Premonition
8. Remnants Of Beauty
9. Existence
10. Continuance
11. Predominance