Recensione: Reign in hell
Ma vi ricordate ancora degli svedesi Morgana Lefay? Di sicuro una delle band più fondamentali che abbiano calcato i palchi internazionali negli anni ’90, la band del singer Charles Rytkonen è riuscita in pochi anni a scrivere pagine importanti della nostra amata musica, pubblicando dei capolavori assoluti del calibro di “Knowing just ad I” oppure “Maleficium”, tanto che mai e poi mai avrei pensato che una band potesse in qualche modo neanche avvicinarsi minimamente allo status di grandeur dei cinque scandinavi, mai finchè non sono venuto in contatto con i Solemnity.
Lo stesso sound, la stessa oscurità che avvolgeva le composizioni dei Lefay, lo stesso stile del songwriting e persino le linee vocali sembrano essere simili, tanto da poter ammettere senza remora alcuna che i cinque teutonici sono senz’altro i degni eredi degli svedesi. Il loro debutto “Reign in hell” è di sicuro uno dei migliori esempi di come si possa produrre un ottimo album facendo fede solo sui propri sforzi economici, ed affidandosi nelle mani di persone competenti in materia, senza abbozzare niente e risultare per questo pacchiani.
Famosissimi nella loro natia Germania soprattutto per i loro live shows infuocati e spettacolari, in cui fuochi pirotecnici, sangue finto e amenità varie la fanno da padrone, credo che oggi come oggi i cinque abbiano pochi concorrenti per la scalata al trono di miglior band rivelazione di questo anno, grazie anche ad un sound in cui confluiscono power metal di matrice americana, Metal Church, Reverend e Syris soprattutto, e un certo dark sound come nella migliore delle tradizioni Death SS, non a caso il loro vocalist Steve “the axe” si dice sia un fan accanito di Steve Silvester e soci.
A livello strumentale i Solemnity se la cavano abbastanza bene, ed anche lo stile compositivo mi sembra abbastanza maturo ed i brani ottimamente strutturati, anche se sostanzialmente dei miglioramenti in futuro ce ne dovranno essere, soprattutto per ciò che concerne i cori che a volte mi sono sembrati davvero abbozzati.
Otto brani intricati, anche se il lettore ne da 66, che concedono veramente pochi sprazzi melodici o di facile ascolto, prediligendo territori sonori molto ostici e darkeggianti per la felicità di tutti coloro che amano la notte e certe tematiche oscure e lo studio di certe pratiche esoteriche e medianiche, che rende il tutto molto, ma molto personale. In definitiva un disco dall’approccio non molto facile, da prendere con le molle, e per questo da ascoltare ed ascoltare più volte prima di comprendere sino in fondo dove abbia inizio il regno dell’inferno!!!!!