Recensione: Reincarnation
Mi sono sempre avvicinato con poca convinzione e tante perplessità a qualsiasi disco di un gruppo giapponese, non tanto per la qualità musicale o per la scarsa tecnica individuale, anzi, ma per la voce del singer di turno. In ogni cd che mi sia passato davanti, ho riscontrato una curiosa e fastidiosa costante: il cantato quasi insopportabile e un timbro sempre identico a prescindere da quale vocalist stesse in quel momento vociando nel microfono. Dai Versailles, ai Schwardix Marvally passando per Hizaki Grace Project fino agli Animetal (nei quali milita il chitarrista Syu, qui presente), ogni volta mi sono posto questo quesito: perchè devono cantare tutti allo stesso modo?
Eppure musicalmente, tutti i gruppi che ho appena citato, la sanno molto lunga. Ottima tecnica, buona produzione e songwriting non originalissimo, ma godibile. Reincarnation non fa eccezione. Arrivati a cinque album dal 2001 ad ora, i Galneryus propongono ancora una volta un power melodico e tirato, ottimamante suonato, con influenze necolassiche e spruzzi di un roccioso heavy/prog che si fa ascoltare tutto d’un fiato. Oddio, tutto d’un fiato forse è troppo, vista la lunghezza da suicidio dei dodici brani, dai sei ai quasi nove minuti, ma comunque se uno dispone di 78 minuti liberi, può decidere di dedicarcisi pazientemente e con tanto buon cuore. Con pazienza si, perchè sfido chiunque, dopo un ascolto, a far girare il cd di nuovo se non dopo un paio di mesi di pausa.
Come avrete intuito, l’eccessiva durata è un bel punto a sfavore. Ho sempre pensato che tre minuti fossero pochi, quattro-cinque nella media, dai sei in poi, troppo. Arrivare a quasi nove, esclusi alcuni pezzi storici di gruppi ben più noti, l’ho sempre considerato un assassinio per le orecchie. Ascoltando i brani di Reincarnation l’impressione è quella. Canzoni carine, melodiche, sulla scia degli Stratovarius, strutturate bene e suonate meglio, ma cantate male (eccezione, la semi-ballad “Fairy Tale“), un po’ in inglese, un po’ in lingua madre e tremendamente prolisse. Se avessero scelto di stopparle tutte ai quattro giri d’orologio avrebbero optato per la scelta più giusta, visto che da quel punto in poi, nessuna traccia ha più qualcosa da dire, diventando inevitabilmente straziante.
Passare in rassegna ogni singola canzone mi sembra superfluo, in quanto lo stile è piuttosto ripetitivo.
I dodici episodi che costituiscono il platter sono troppo simili tra loro per avere una storia tutta loro.
Alla fine, che dire…per chi concentra la propria attenzione soprattutto sull’interpretazione musicale e ama il power veloce, abbastanza sinfonico, tecnico con venature di neoclassic/heavy/prog, i Galneryus sono un buon investimento. Se invece siete pignoli come me e buttate un orecchio anche a durata massima e parti vocali, penso che al massimo, spinti dalla curiosità, potrete ascoltare una canzone o due.
Produzione e tecnica voto 8, songwriting voto 7, voce e scelta del minutaggio dei brani voto 4.
La media fa 6,3.
Non da buttare, ma penso che abbiamo bisogno di altro per ritenersi appagati.
Attualmente, il gruppo è senza cantante a causa del suo abbandono per divergenze musicali, appena dopo l’uscita di “Reincarnation”.
Alessio ‘the Metalkeeper’ Meucci
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Tracklist:
1. Owari Naki, Konoshi 07:27
2. Blast Of Hell 06:19
3. Blame Yourself 07:40
4. Shining Moments 04:37 * MySpace *
5. Against The Domination 04:34
6. Wind Of Change 07:17
7. No Exit 06:23
8. Stardust 05:23
9. Face To The Real 06:59
10. Seasons Cry 05:58
11. Fairy Tale 06:05
12. The Flag Of Reincarnation 08:51