Recensione: Reincarnation
Purtroppo label come Relativity Records e, soprattutto Food For Thought, non esistono più da tempo. Più o meno da una ventina d’anni.
Altrimenti, non ci sarebbero stati dubbi di alcun tipo su chi avrebbe potuto proporre un deal discografico per l’esclusiva degli album solisti di Brian Maillard, eccellente ed estroso chitarrista italo-svizzero che, dopo averci deliziato nel 2008 con un primo assaggio di bravura, torna in questo scorcio iniziale del 2014 con un secondo capitolo, “in solitaria” ed autoprodotto.
Per attestarsi, tanto vale dirlo subito, su livelli da capogiro.
Conosciuto nell’ambiente progressivo per essere tra i fondatori degli elaborati Solid Vision – band costruita con l’essenziale aiuto del fratello Yan (Batteria) – e per aver preso parte alle recenti release di Charlie Dominici – singer americano che i più rimembreranno nella prima formazione dei Dream Theater – Maillard è quello che i più attenti alle definizioni potranno indicare in modo univoco come un autentico “guitar hero”.
Padrone di uno stile che si riverbera, pur con molta personalità, nel peculiare mondo sonoro di John Petrucci e Joe Satriani (una via di mezzo, già di per sé, motivo di lustro), Maillard è uno straordinario virtuoso delle sei corde, tecnicamente divino e – come richiesto ad ogni allievo della “Scuola Satriani” – in profonda sintonia con i dettami della ricerca melodica e di una forma d’arte che, pur essendo elitaria ed altolocata per concetto, riesce a rendersi familiare ed accomodante all’orecchio senza alcuna presunzione.
Mantenendosi cioè, al di fuori di ogni “follia” fine a se stessa atta a sbandierare le proprie immense doti strumentali, per inseguire una forma canzone che sappia amalgamare un altissimo profilo tecnico con il puro ed immediato piacere d’ascolto.
Ne nascono così una serie di preziose composizioni che vanno a condensarsi in quello che, a nostro modesto modo d’intendere, è un piccolo capolavoro di musica strumentale, a cavallo tra il tipico shred chitarristico ed il prog metal che proprio LaBrie e soci dispensano alle folle da anni.
Delicata, esuberante, gioiosa: la formula di Maillard è un susseguirsi di colpi di classe e trovate melodiche che rendono l’ascolto di “Reincarnation” un’esperienza deliziosamente raffinata, perfetta per chi – pur non conoscendone i segreti – ama comunque il suono, lussuoso, suadente, rombante, sornione ed impetuoso della chitarra elettrica.
L’album è un piacevole riassunto di tutto ciò che lo shred ed il prog hanno descritto negli anni sin qui. La scaletta composta da dieci brani, passa dagli attacchi prog King Crimsoniani di “The Pentagon” alle vibrazioni alla Dream Theater di “The Irish Life”, per scivolare poi sul tipico territorio di Joe Satriani in “Another Life”, ballata dai toni talora suadenti, con cui Maillard mette a segno uno dei colpi più riusciti dell’intero cd.
L’ascolto di “Evergreen” poi, non fa che offrire un ulteriore conferma di quanto i Dream Theater siano una sorta di stella polare per il guitar hero elvetico: una composizione che non ci saremmo stupiti di scoprire pensata proprio da John Petrucci.
C’è quindi spazio anche per un significativo omaggio ad un altro sommo interprete dello strumento, protagonista osannato di digressioni “extraterresti” sulla tastiera di una Ibanez “sette corde” (guarda caso, un modello molto simile a quello esibito da Maillard in fotografia): “Carnivorous Turtle” è un pezzo che già da lontano richiama alla mente Steve Vai e la sua rigogliosa genialità, fatta di accordi festosi e pieni di brio.
E se vogliamo dirla tutta, non manca nemmeno Paul Gilbert all’appello tra le muse ispiratrici di “Reincarnation”. “Theory Of Relativity” sembra, in effetti, voler in qualche modo accogliere qualche sussulto tipico del grande player dei Mr.Big.
Me è sempre Satriani a fungere da espressione massima per chiunque voglia realizzare un grande disco imperniato sulla sola chitarra: “Reincarnation” (la title Track) è, ancora una volta, la dimostrazione di quanto “Satch” sia una pietra angolare irrinunciabile per il genere.
Bella sorpresa infine, trovare Marco Minneman ospite della solare e poderosa “Bulldog Ants”, traccia che sposta il baricentro verso sonorità di estrazione Hard Rock. Sempre però, con parecchio estro “prog” ad infiocchettare il risultato.
Finale quindi ad effetto con la cover della grandissima “Hallelujah” di Leonard Cohen, brano già sensazionale da par suo, reso con estrema sensibilità ancora dalla sei corde di Maillard.
Un disco realizzato con cura maniacale sin dal packaging che urla vendetta e non può che adontarsi nell’essere classificato tra i demo e le autoproduzioni.
Piacevole, solare, ricco di spunti e deliziosamente accattivante: “Reincarnation” è, per gli amanti della sei corde, una gemma preziosa con la quale sarebbe un grande peccato mancare l’appuntamento.
Proprio insieme all’ultimo Satriani, il miglior disco shred ascoltato negli ultimi dodici/quindici mesi.
Per contatti: http://www.brianmaillard.com/
Discutine sul forum nella sezione Progressive!