Recensione: Religious Disease
Corsi e ricorsi della storia, ammoniva il filosofo e giurista italiano Giambattista Vico nella seconda metà del 1600.
È esattamente quanto sta accadendo in ambito Thrash metal – ma non solo, la stessa cosa avviene nell’HM e nello Speed, per rimanere in territori classicheggianti – nel momento in cui i vecchi leoni, coloro i quali decodificarono la cifra stilistica del genere, ruggiscono un po’ meno o addirittura smettono del tutto di farlo.
Nulla di strano, semplicemente la carta d’identità fatalmente ingiallisce e le idee si riducono al lumicino anche perché sopraffatte da logiche ingombranti determinate da aspetti economici e familiari. Nel momento in cui iniziano a mancare i soldini per pagare il giardiniere o saldare la manutenzione dell’auto d’epoca detenuta in garage magicamente è il momento di far pace con gli altri, richiamare il grande ex, tornare a scrivere qualche pezzo, sparare un po’ di interviste buoniste qua e là, stampare tonnellate di magliette con impressa l’immagine del nuovo disco e intraprendere un tour. Ovviamente nel nome della buona musica e della creatività ritrovata…
Sì, come no…
Tutto ampiamente codificato, con qualche variante a seconda dei vari casi e facilmente riscontrabile in più o meno band eccellenti del passato. Non tutte, of course, ma molte di esse…
Già, e la musica?
A quella ci pensano gruppi come i Disarray, nella fattispecie. Quattro giovani metallari agguerriti provenienti da Stoccolma, nati come complesso nel 2022 e con alle spalle l’esordio Evil is Reborn targato 2023. Edvin Mossfeldt (basso), Morgan Ottenvang (batteria), Valter Ernerot (chitarra) e Lucas Lee (chitarra e voce). Religious Disease è il loro secondo album ufficiale ed è disponibile sul mercato in tre diversi formati da parte dell’etichetta connazionale Jawbreaker Records: Lp, musicassetta e Cd. La recensione fa riferimento a quest’ultima, che si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi e delle foto dei singoli musicisti nelle due centrali. Copertina in stile Crossfire a cura di James Campbell. Curiosamente, all’interno del libretto, i Disarray mandano ufficialmente affanculo colui il quale, senza motivo, ha tirato una centra – un pugno – in pieno volto al chitarrista Valter Ernerot. Non è specificato in quale occasione.
Passando alla musica, Religious Disease consta di poco meno di cinquanta minuti di ascolto declinati lungo dieci pezzi con l’ultimo, “Inhuman Reign” messo a mo’ di bonus track per l’edizione in Cd e quella in MC.
“Forbidden of Speech” dà il via alle danze, si fa per dire, andando spudoratamente a scomodare vari numi tutelari del Thrash anni Ottanta. I Disarray non si nascondono né cercano chissà quale variazione al tema, semplicemente mettono dentro i loro pezzi tutta la carica aggressiva e l’entusiasmo giovanile del quale dispongono. La voce di Lucas Lee risulta vicinissima a quella di Mille Petrozza dei Kreator in molteplici occasioni e il massacro sonoro si perpetua sino al termine senza redenzione alcuna scomodando echi ma anche qualcosa in più di Onslaught, Exodus, Vio-Lence, Sacred Reich, Forbidden, Abattoir, Sadus.
Dentro questi solchi di classicissimo Thrashone incontaminato senza compromessi suonato con furia e e convinzione ve n’è in abbondanza: farsi sotto senza indugio tutti coloro i quali sono interessati.
Stefano “Steven Rich” Ricetti