Recensione: Remedy Lane
Patti chiari, amicizia lunga. Questo è il miglior disco registrato dal gruppo svedese in undici anni di storia sotto il nome di Pain Of Salvation: proprio così, conoscendo le precedenti registrazioni non mi sarei mai aspettato tale evoluzione verso il buio, verso l’angoscia, verso note decisamente più emozionanti ed oscure. Remedy Lane si scioglie in bocca lasciando un sapore amaro, triste e malinconico sfruttando la purezza di un sound per tradizione gradevole e vivace; non mancano inoltre le consuete crisi di psicosi nelle ritmiche travolgenti di un batterista che accompagna le linee vocali controtempo del frontman, colonna portante del gruppo, Daniel Gildenlow.
Sembrerà strano ma entrando in Fandango vi sembrerà di trovarvi davanti ad uno dei migliori pezzi degli Opeth. La tastiera di Fredrick Hermansson riprende in modo tra virgolette insopportabile lo stesso assillante motivo dall’inizio alla fine, mentre d’improvviso un groviglio di voci s’interseca nell’apice della pazzia: gli spunti originali non mancano di certo ad un gruppo come questo, capace e coraggioso nell’accostare nel migliore dei modi un ritornello delizioso all’irrazionale tenacia di frammenti devaestanti e senza direzione. Questi sono i Pain Of Salvation, questo il risultato che aspettavo.
Ora non manca più nulla e il passaggio al brano successivo nè è la più chiara dimostrazione. A Trace Of Blood si oppone in tutta la sua lunghezza ai 3 dischi passati, registrati dal 97 in poi, con una pienezza compositiva invidiabile a testimonianza dell’esperienza raccolta in quasi un ventennio di preparazione: l’intro è degna dei seppur irrangiungibili Dream Theater, un brivido attraversa la mia schiena ignorando le strisce pedonali, e mi ritrovo a terra, sulla fredda strada di un capitolo destinato ad essere riletto più e più volte.
Già perchè anche questa volta i Pain Of Salvation ci presentano un concept album. Non chiedetemi di cosa si tratta perchè, come accade spesso e volentieri in questi casi, neanche mesi di analisi sono sufficienti ad una interpretazione attendibile. Lascio ogni commento alla vostra curiosità…
Una triste Undertow ci accompagna verso la traccia forse più progressiva di questo disco. Caratteristica di Rope Ends è il particolarissimo ritornello, tanto strano quanto entusiasmante: Daniel possiede un’estensione vocale incredibile e qui trova anche l’occasione di sfoderare le sue ampie doti tecniche alla chitarra mentre il giovanissimo batterista, Johan Langell, si conferma un’importante promessa del futuro; molto abile al basso il fratellino minore dello stesso Gildenlow: suo il compito di arrotondare il suono nelle parti estremamente delicate e dolci come per Dryad Of The Woods, suo il compito di affilare i coltelli nel brano conclusivo ad esempio, Beyond The Pale.
L’elettronica titletrack Remedy Lane, costante intro dell’ultimo tour in compagnia dei Dream Theater, spezza in decima posizione le sorti della storia fin qui narrata, due minuti abbondanti di fredda ipnosi.
Un voto ben meritato. Congratulazioni.
TRACKLIST:
1. Of two Beginnings
Chapter I:
2. Ending Theme
3. Fandango
4. A Trace of Blood
5. This Heart of Mine (I Pledge)
Chapter II:
6. Undertow
7. Rope Ends
8. Chain Sling
9. Dryad of the Woods
Chapter III:
10. Remedy Lane
11. Waking Every God
12. Second Love
13. Beyond the Pale
Thorn Clown (Japanese Bonus)