Recensione: Requiem
Ora sediamoci e con calma analizziamo bene la situazione.
Discerniamo con metodo la sfera emotiva da quella razionale, il realista dal sognatore, il principe dal povero. Perché la cosa fondamentale è, in primis, collegare le sinapsi ai ventricoli e spedire il tutto tramite un flusso ordinato di pensieri, ricordi e sensazioni alle dita delle mani che si faranno terminali di questa ondata di emotività e fisiologia.
Raccontare la verità senza pregiudizi, interessi o timori e quello a cui tutti, bene o male, siamo chiamati a fare.
Bathory per me rappresenta l’ideale border line. Tra razionale e irrazionale, tra sogno e realtà ci sono le note del genio musicale di Quorthon che mi hanno accompagnato fin dagli albori del ricordo nel metallico mondo musicale.
Quorthon ha segnato per il sottoscritto l’importante passo tra fanciullezza e maturità, tra l’istinto innato di ribellione e la consapevole militanza nella grande famiglia dell’heavy metal.
Tutto questo per introdurre la recensione di Requiem, settimo album di Bathory.
Sarebbe vile e scorretto, nonché una pessima dimostrazione di mancanza di professionalità attribuire dei meriti “ad honorem” solo per paura di ferire la sensibilità di qualche fan. Sarebbe altresì ingiusto verso me stesso attribuire dei meriti laddove non ci fossero gli adeguati presupposti e le giuste motivazioni. Quindi, per farla breve, ho sempre trovato Requiem un anello debole nell’ideale catena che rappresenta la discografia di Bathory.
Tutti, nell’arco della nostra esistenza, passiamo attraverso periodi più o meno felici sia nella sfera affettiva e sia in quella lavorativa e creativa. E di certo non tutto quello che facciamo nel corso della nostra vita sarà degno di nota. Se così non fosse Leonardo Da Vinci non sarebbe riconosciuto come il “Genio” per antonomasia ma tutti, chi più chi meno, avremmo il nostro posto nell’olimpo del mondo creativo.
Ma il genio, con tutta la soggettività possibile, cos’è? Come si rappresenta? Cosa comporta?
Dal mio punto di vista dice che il Genio è quella serie di comportamenti, azioni e pensieri che ci permettono di esprimerci in toto, senza filtri, senza la paura castrante del giudizio della gente e del mondo che ci circonda.
Essere in grado di essere se stessi e di esprimersi liberamente: questo è il genio.
Questo è stato Quorthon in tutto l’arco della folgorante carriera: chi innova, chi crea, chi indica la strada può anche inciampare: rientra nella nostra umanità. Ma inciampare per seguire un’idea, un’ispirazione o solamente la voce della coscienza senza badare troppo ai commenti, alle reazioni e alle critiche, questa è coerenza: è amore verso se stessi e il proprio lavoro è maturità e incoscienza allo stesso tempo. Questo comporta il genio, questo è il sale della vita.
Il disco stride se consideriamo la carriera dell’artista scandinavo: il livello qualitativo si discosta molto dalla “linea di condotta” avuta fino a questo momento. La nuova ondata thrash proposta in questo platter non convince fino in fondo.
La produzione risulta sufficientemente buona da dare un’anima ben definita ad ogni singolo strumento: il basso, ruvido e metallico, esce in maniera più spiccata da tutto l’insieme e risulta il protagonista quasi incontrastato del platter. In effetti è la sezione ritmica ad avere le luci della ribalta, lasciando alle chitarre, spesso, il ruolo di comprimario accompagnamento fatta eccezione per gli assoli che, tutto sommato, non sono affatto da buttare.
Insomma, questo è un disco da prendere con le molle.
Forse è l’interpretazione canora di Quorthon il nodo gordiano. Sembra spesso in sofferenza, come se dovesse rincorrere in maniera affannosa un ritmo che sembra non essergli cucito addosso. Questo lo si trova in maniera piuttosto plateale già con “Necroticus”, in cui l’interpretazione dell’artista è carica di strazio e di, lasciatemelo dire senza troppi giri di parole, inadeguatezza. Per il resto è un onesto thrash in cui i canoni interpretativi sembrano essere piuttosto rispettati: velocità sostenute, riff articolati e ben amalgamati nel contesto di ogni singola canzone, immediatezza.
Forse è per questo che Requiem non è un disco da scartare o lasciare a coprirsi di polvere in un angolo recondito delle nostre memorie.
Quorthon voleva omaggiare i suoi fan orientati verso quelle sonorità thrash che negli anni novanta stavano conoscendo un periodo d’oro regalando un disco che potesse soddisfarli appieno; così non è stato e forse proprio a causa della sua interpretazione. E detto da uno che ha sempre amato l’artista di Stoccolma proprio per le interpretazioni e la grande carica personale ed emotiva che metteva in ogni lavoro, è tutto dire.
Insomma, brani come “Pax Vobiscum”, “Distinguish to Kill” e “Crosstitution” non rientreranno mai nella mia top ten dei Bathory, ma di sicuro saranno conservati assieme alle perle della produzione di Quorthon e soci perché la musica, in fin dei conti, rispecchia la vita.
Come credo sia normale non amare visceralmente ogni sfaccettatura del carattere della nostra compagna, dei nostri figli o dei nostri amici, come non possiamo essere sempre in perfetto accordo con il nostro capo o con l’allenatore della nostra squadra del cuore, così Requiem farà sempre parte dell’anima dei Bathory e lo sarà sempre. Accettarla o rifiutarla fa parte della vita. Che questo ci piaccia oppure no.
Daniele Peluso
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TRACKLIST:
1.Requiem
2.Crosstitution
3.Necroticus
4.War Machine
5.Blood and Soil
6.Pax Vobiscum
7.Suffocate
8.Distinguish to Kill
9.Apocalypse