Recensione: Requiem For Mankind
Nel giro di appena 3 anni, i Memoriam hanno dato vita a un sound tanto caro a chi mastica old school death metal, quanto a coloro che ricercano una orecchiabilità più contemporanea, fatta di riffing senza fronzoli, una sezione ritmica schiacciasassi e tutti gli ingredienti in grado di prendervi a mazzate in faccia, soprattutto in sede live. Non stiamo ovviamente parlando di novellini, poiché metà formazione proviene dalle fila dei Benediction, mentre l’altra metà da quelle dei Bolt Thrower. Nel caso i Memoriam fossero un nome nuovo per la vostra materia grigia, sono certo che non sia lo stesso per le band di provenienza del quartetto inglese. A differenza di quanto sentito con i Bolt Thrower, immancabile faro di riferimento lungo tutto l’ascolto di questo terzo capitolo, le influenze della sopracitata band si possono sentire nell’arco dei dieci brani che compongono questo Requiem For Mankind, un album violento, dal sound spiccatamente ruvido e che non disdegna di abbracciare un notevole groove che si dipana tra un muro chitarristico plumbeo e la calda e possente voce del singer Karl Willets (Bolt Thrower). Tornando per un attimo alla formazione, in onore della causa, abbiamo una formazione di strumentisti composta da Scott Fairfax alla chitarra (Benediction), Frank Healey al basso (Benediction) e Andy Whale alla batteria (Bolt Thrower). Queste le premesse, a un solo anno di distanza dal precedente e controverso The Silent Vigil.
Preferisco sempre i fatti alle parole ed allora è finalmente giunto il momento di lasciare che Willets & soci diano sfogo a quel carro armato metallico che sono i Memoriam, i quali mettono in campo un approccio meno spudoratamente bellico rispetto a quanto ascoltato con i due precedenti lavori, in favore di un sound più profondo, a tratti drammatico ed emotivamente più cupo, aspetto che si può ipotizzare già sino dallo splendido art work, in perfetto stile death metal contemporaneo. Quello che non è puramente death metal contemporaneo è invece il sound, questa volta maggiormente caratterizzato da definizioni groove in quanto a riff e linee vocali in alcuni casi ridotte all’osso, come per esempio nella ottima Undefeated. Questa canzone, come l’opener Shell Shock e la successiva Never The Victim, apre il disco nel migliore dei modi, inanellando un quarto d’ora di esperienza metallica affilata ed efficace come l’incedere di una lama rovente nel cuore di una forma di burro. Ogni brano che segue ripercorre in parte lo schema introdotto con il trittico iniziale, a volte evolvendolo grazie a digressioni che accentuano la drammaticità dell’umore del disco stesso, altre volte accelerando una corsa su un rasoio che, alla lunga, diventa un po’ prevedibile per chi non si trovasse nella schiera di die hard fans della band in questione.
Con Refuse To Be Led, che segue la sorprendente In The Midst Of Desolation, ci si mantiene su binari ormai rodati, che però contribuiscono a un sostanziale scompiglio dell’acconciatura – qualcuno ha detto headbanging? The Veteran è forse il brano che si sistema più a distanza dal tipico sound death metal, ma il suo continuo martellare non fa altro che mantenere alta la soglia dell’attenzione, nonostante non ci sia nessuna tregua apparente, almeno non sino alla conclusiva Interment, outro che a questo punto avrei visto meglio posizionata prima della title-track, anch’essa impregnata da un riff molto orecchiabile e che torna sui binari ritmici che hanno fatto l’ingresso in scena con la prima metà dell’album.
Il death metal dei Memoriam è la colonna sonora ideale per prendere a testate qualcuno. Le caratteristiche principali di Requiem For Mankind sono la sua oculata violenza, raggiunta grazie all’esperienza di un quartetto che non è qui per caso. Aspettarsi un ipotetico eco dei Bolt Thrower sarebbe un errore e potrebbe portarvi a maledire quella vena groove che rende invece la proposta dei Memoriam differente e di sicuro interesse per coloro che non disdegnino questo enorme frullatore nel quale sono stati gettati i Bolt e un po’ di Benediction, di certo non in quantità identiche. L’album è permeato da una costante drammaticità che si enfatizza proprio quando le ritmiche rallentano e lasciano che la matrice groove prevalga su quella brutalità che non necessita di virtuosismi o assoli di chitarra, aspetto che farebbe virare i Memoriam in direzione di un death metal tecnico però lontano anni luce da quello che la band ha in mente e riesce ad offrire all’ascoltatore. Ciò che abbiamo per le mani è un disco di death metal attuale, costantemente arricchito da sfumature old school che gli consentono di respirare aria propria e distaccarsi al tempo stesso da proposte contemporanee simili. Non sarà di certo uno degli album migliori del 2019, ma potrebbe essere quell’album in grado di farvi trascorrere cinquanta minuti di sfogo totale. Un po’ come un buon film horror pescato dallo scaffale degli anni ’80, Requiem For Mankind sarà in grado di farvi correre a testa bassa infischiandovene dei suoi difetti, ma amandone i pregi.
Brani chiave: Undefeated / Never The Victim / Refuse To Be Led