Recensione: Requiem For Us All

Di Daniele D'Adamo - 3 Aprile 2013 - 0:10
Requiem For Us All
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Anno: 2013
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80

Cinque anni dal debut-album “Damned To Blindness”.

Cinque anni che gli emiliani The Modern Age Slavery non hanno lasciato passare invano, dando così alle stampe un secondogenito, “Requiem For Us All”, che ha tutte le carte in regola per cancellare quanto di buono si era già ascoltato all’epoca (2010) e ripartire per una nuova, devastante avventura.

Eh sì, poiché il quintetto di Reggio Emilia si è definitivamente stabilito nelle lande più oltranziste del deathcore. Dove, per capire, c’è gente affamata di sangue tipo Whitechapel e The Black Dahlia Murder. Un deathcore, quindi, estremamente tecnico, velocissimo, lontano da quello accattivante – seppur veemente – di band popolari come gli Heaven Shall Burn o i Neaera.

La progressione stilistica dei The Modern Age Slavery ha avuto una spinta evolutiva notevole, tanto è vero che, oggi, non è così facile trovare altri gruppi in grado di interpretare in maniera così moderna il death metal. Le contaminazioni futuristiche dell’elettronica sono degli elementi ormai imprescindibili per un genere che vuole scrollarsi di dosso, senza rinnegarle, certe propaggini stilistiche retaggio degli anni ’90. Magari, inserendo robusti dosaggi *-core che donano al tutto quel caratteristico sapore freddo e metallico; tagliente come una lama di rasoio. Il cyber death dei Fear Factory, per esempio, è assai distante da “Requiem For Us All”; tuttavia le campionature di tastiere dal forte sapore fantascientifico ci sono, e contribuiscono a regalare al sound dei Nostri quel flavour unico e pregnante della letteratura cyberpunk (“The Dawn Prayer”). Soprattutto durante quegli episodi (“Ivory Cage”) in cui i toni drammatici che sottolineano il pessimismo per un futuro senza speranza diventano cupi all’inverosimile.
   
A prescindere dai contenuti lirici della musica dei The Modern Age Slavery, occorre evidenziare che la loro incredibile tecnica sia nell’imbracciare gli strumenti (“Ivory Cage”), sia nel progettare le canzoni (“Slaves Of Time”), non è assolutamente fine a se stessa; ma al servizio di un’idea che, probabilmente, mira a mietere più vittime possibili con la potenza deflagrante di un suono, quanto a dimensione, spaventoso. L’immenso muro di suono costruito dalle chitarre di Luca Cocconi e Simone Bertozzi ha una consistenza granitica, non mostrando nemmeno la più microscopica crepa in tutti i trentaquattro minuti di durata del platter. La tremenda sezione ritmica spinta dai motori nucleari che rispondono al nome di Mirco Bennati (basso) e Stefano Brognoli (batteria) raggiunge con precisione millimetrica le allucinazioni dei blast-beats (“Requiem For Us All”), per rallentare con la massima forza possibile in claustrofobici breakdown ove, peraltro, la melodia non è affatto assente (“Icon Of A Dead World”). Lo stentoreo growling di Box, se non si propone come fatto innovativo, è però una garanzia di aggressività totale e furia devastatrice, che suggella un sound dall’intensità elevatissima come dimostra la feroce cover della leggendaria “Arise” dei Sepultura.  
 
A proposito di quest’ultimo brano, se si tiene conto della sua lunghezza si può osservare che “Requiem For Us All” supera a malapena la mezz’ora. Guai a lasciarsi fuorviare da questo fatto, però: il disco è talmente denso di musica e ricco di particolari inseriti in ogni suo anfratto sì da dimostrare una longevità eccellente. Ci sono song come “Obedience”, giusto per citarne una, che in tre minuti infilano così tanta… ‘roba’ da far sì che occorrano davvero tanti ascolti per averne ragione. Oppure, brani dal tono così epico (“The Silent Death Of Cain”) da ricordare, addirittura, la filosofia musicale di Quorthon nella sua fase viking. Brani che, come si può intuire, una volta entrati nella mente non ne escono più.  

Bravi, davvero bravi, i The Modern Age Slavery. “Requiem For Us All” è, senza giri di parole, all’identico livello delle migliori produzioni internazionali di metal estremo e, in particolare, di death metal… futurista.

Daniele “dani66” D’Adamo

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