Recensione: Resilience of a Broken Heart
Dieci anni, dieci anni esatti. Tanto abbiamo dovuto attendere per un nuovo capitolo griffato Burning Black. Sì, perché la storica formazione veneta fa il suo ritorno in scena nel 2024 e lo fa in grande stile. I Burnirng Black si presentano infatti con una line-up completamente rivoluzionata – con il solo Dan Ainlay, aka Massimo De Nardi, a dare continuità con il passato – e un attesissimo nuovo full lenght. Per l’occasione, il combo di Treviso si accasa presso l’attivissima Punishment 18 Records e rilascia il quarto capitolo della propria discografia, dal significativo titolo “Resilience of a Broken Heart”.
La nuova fatica di De Nardi e compagni è un disco che suona dannatamente Burning Black, un lavoro in cui incontriamo, con piacere, tutte le caratteristiche del sound del combo veneto. Passano gli anni, cambiano le line-up ma l’identità Burning Black rimane inalterata nel tempo, forgiata con fuoco e acciaio. E così, come da tradizione, in “Resilience of a Broken Heart” troviamo tonnellate di metallo pesante, accompagnate da dosi massicce di autoironia. Rispetto al passato, però, in questo quarto disco dei Burning Black c’è un qualcosa in più, un particolare che emerge prepotente, ascolto dopo ascolto: la maturità. Senza inutili giri di parole possiamo infatti dire che “Resilience of a Broken Heart” è il lavoro più maturo messo a segno dalla formazione trevigiana, per il momento, almeno. L’album presenta una cura maniacale per il dettaglio, ponendo particolare attenzione agli arrangiamenti, alle armonizzazioni, alla ricerca di ritornelli vincenti, melodici, in grado di lasciare il segno già al primo passaggio in cuffia. Per comprendere meglio quanto appena evidenziato è sufficiente ascoltare l’elegante ‘Last Band on the Earth’, caratterizzata da un ritornello strappaorecchi, l’avvincente ‘War Forever’ o la terremotante ‘Racoon City Boy’. Tre canzoni che rientrano tra gli highlight di “Resilience of a Broken Heart” e che diventeranno presenza fissa nelle setlist dei futuri concerti del combo veneto. Un altro punto a favore di “Resilience of a Broken Heart” è poi la produzione. Il sound è curato e potente ma guarda volutamente al passato, sposandosi alla perfezione con la proposta dei Burning Black. Proprio questo aspetto risulta quasi fondamentale in alcune tracce, riuscendo a valorizzare la loro qualità, come accade, ad esempio, con ‘Trust Me’, con i suoi interessantissimi echi Megadeth nel finale di traccia.
La prestazione dei singoli è di assoluto livello, in particolare la prova delle due asce, Ian Adams e AndyT, che donano un approccio guitar oriented a “Resilience of a Broken Heart”. Il tutto è sorretto da una sezione ritmica rocciosa, che regala all’album un gran groove e tanta dinamica. Degno di nota il martellante basso di Loris Peltrera (che dopo aver registrato il disco ha lasciato il posto a Nikk Damian, n.d.a.) e l’elegantissima performance di Riccardo Dario alle pelli. Proprio sulla batteria ci soffermiamo un attimo, visto che, dopo aver ultimato il lavoro in studio, Riccardo Dario è stato sostituito dal figlio di Massimo De Nardi, Nicolò, di soli quindici anni. Una scelta rischiosa ma visto il tiro che il buon Nicolò è in grado di garantire dal vivo, tale decisione si è rivelata una soluzione vincente. È inoltre affascinante immaginare l’ingresso nei Burning Black di Nicolò De Nardi come una sorta di testamento, di eredità tra padre e figlio.
Da segnalare, poi, la prova al microfono di Massimo De Nardi, una prestazione fatta con il cuore, che denota una passione immensa per la causa e che, grazie al timbro vocale del cantante, dona al disco un taglio hard rock. “Resilience of a Broken Heart”, insomma, è un platter che saprà soddisfare i palati dei fan dei Burning Black ma, soprattutto, è un album che ha tutte le carte in regola per fare breccia nei cuori degli appassionati delle sonorità più classiche. Un lavoro che trasuda adrenalina e passione da ogni singolo poro. In poche parole, “Resilience of a Broken Heart” è forse il miglior disco messo a segno dai Burning Black. Un album che si è fatto attendere per ben dieci anni ma che non ha assolutamente deluso le aspettative, e scusate se è poco. Dopo un ritorno di tal fattura, la speranza è di non dover aspettare altri dieci anni per un nuovo album griffato Burning Black. Anche in ambito musicale, d’altronde, l’appetito vien mangiando, soprattutto se il prodotto è di qualità!
Marco Donè