Recensione: Respice Finem
“Locuzione latina (guarda alla fine) – frase con cui nella tarda tradizione latina si compendiò il consiglio dato da Solone a Creso di non insuperbire dei suoi successi finché la morte non avesse dato alla sua vita significato e valore definitivo“… più prosaicamente “ride bene chi ride ultimo”, o “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” (bastava chiedere a Trapattoni). I Velvet Viper se la sono andata a cercare colta e difficile, il titolo del loro nuovo album guarda verso orizzonti lontani, escatologici, e del resto l’eroina Jutta Weinhold ha sempre avuto un taglio un po’ shakespeariano e letterario, tanto nei testi quanto nella sua impostazione vocale. Mi auguro vivamente che chi si appresta a leggere una recensione di questa band su un portale chiamato “True Metal” abbia ben presente di chi stiamo parlando, perché sarebbe alquanto disdicevole essersi infatuati dell’ultima big thing heavy metal o possedere l’intera discografia che so, dei Dragonforce, e non avere contezza di uno dei pilastri dell’heavy teutonico, nonché dell’intero genere. D’accordo che la volitiva Jutta non abbia mai sfondato veramente, abbia sempre agito nelle retrovie, nel sottobosco, lambendo l’underground e non riuscendo mai a spiccare definitivamente il grande salto (più per disattenzione altrui che per demeriti propri), ma è solo una questione di visibilità e successo, perché per quanto riguarda l’olio motore, senza un personaggio come la Weinhold il metallo non avrebbe senso. Sarebbe un po’ come espungere Ronnie James Dio dal grande libro aureo della musica Metal; anzi, mai parallelo fu più calzante poiché davvero, in tutto e per tutto, Jutta Weinhold può e deve essere considerata la Ronnie James femminea del genere borchiato.
Un passato infinito, fatto di hard rock anni ’70, prodromi punk (Breslau), poi la creazione degli Zed Yago, creatura che le viene scippata dal comprimario Jimmy Durand (il quale nepotisticamente affida il microfono alla consorte Yvonne); la rinascita quindi con i Velvet Viper nel ’90, coerente continuazione degli Zed Yago sotto altro nome. Dal ’91 al 2018 sono appena tre i dischi che portano quel monicker (inframezzati pure da lavori solisti della Weinhold) ed il nuovo “Respice Finem” esce addirittura a 26 anni di distanza da “The 4th Quest For Fantasy” (che era il secondo album ma si chiamava “la quarta ricerca” proprio contando anche i primi due degli Zed Yago). L’unica vipera presente in tutti i lavori è Jutta, circondata oggi da un drappello di nuovi musicisti (nuovi per modo di dire, si tratta sempre di membri del suo entourage che l’hanno accompagnata dal vivo e in studio nella band che prende il suo nome), anche se va detto che c’è differenza tra la line-up stampigliata nel booklet – e che presumibilmente sarà la formazione stabile e futura – e quella che realmente ha suonato sull’album. Alla consolle di Produzione addirittura Kai Hansen, che non lesina anche l’ospitata su un paio di brani con i suoi assoli (“Dangerous” e la stessa “Respice Finem“).
E’ con una certa emozione che mi dispongo all’ascolto di “Respice Finem“, intanto perché, per quanto detto fin qui, questo è un pezzettino di storia e tradizione dell’heavy metal a cui guardare con rispetto e devozione, poi perché il curriculum della Weinhold è sempre stato sinonimo di grande qualità e release eccellenti. Infine c’è da considerare il derby a distanza che la interprete di Essenheim gioca con l’ex band mate Durand, che continua a tenere in piedi gli Zed Yago con i quali ha già pubblicato (senza Jutta) due album ed un live. E perlomeno “The Invisible Guide” del 2005 è stato inaspettatamente un maestoso lavoro, assolutamente degno della discografia classica della band (per quanto sia doloroso ammetterlo, vista la mancanza della singer originale nonché fondatrice della band). “Respice Finem” forse allude anche a quello, riderà bene chi riderà ultimo, è tutto da vedere chi la spunterà alla fine (nei cuori dei fans) tra gli Zed Yago orfani della Weinhold e i Velvet Viper guidati invece dalla regina del metal. Quel che è certo è che questa fatica discografica numero 3 del quartetto germanico è la release più stanca e spuntata pubblicata ad oggi sotto quel glorioso nome. Affatto un brutto album, anzi; la title track con i suoi 10 minuti di durata, “Shadow Ryche“, “Fraternize With Rats“, “Dangerous“, “Eternally Onwards” sono pezzi più che discreti, tipicamente incardinati nel songwriting che ha reso iconico il gruppo (e gli stessi Zed Yago). Metallo flemmatico, epico e ieratico, poggiato su drum patterns lenti e di ampio respiro, accompagnato da un riffing poderoso e basico, il tutto cucito appositamente per la voce di una grande narratrice quale è la Weinhold, intensa, espressiva, immanente alle storie che racconta.
Tuttavia complessivamente il processo di scrittura si rivela meno ispirato, o più arrugginito se preferite, mettendo in evidenza qualche zoppicatura (“Raven Evermore“, “Stormy Birth“, “Loherangrin – Lohengrin“… la stessa opener “Don’t Leave Before Wintertime“, brano che per la posizione che occupa dovrebbe dare la scossa, non mi ha coinvolto granché). Materialmente la composizione delle canzoni è decisamente più modesta dell’interpretazione che invece ne dà la Weinhold, sempre febbricitante, enfatica, evocativa. L’impressione è che stavolta la band non riesca a stare al passo della propria leader, confezionando per lei un tappeto sonoro dignitoso e sufficiente, ma più un compitino che una manciata di pezzi fragorosi e bombastici come i precedenti album ci avevano abitato, degli instant classics di tradizionalissimo heavy metal. Velvet Viper e Zed Yago sono stati molto di più di “Respice Finem” e, nonostante un drappello di brani interessanti, mi aspetto che prossimamente Jutta sappia risfoderare artigli decisamente più affilati. A livello di tenuta la sua voce fa ancora spavento, le premesse ci sono tutte, ci vuole solo più ispirazione e l’abilità di focalizzare il meglio del meglio da incidere in studio di registrazione.
P.S. che la tenzone con gli Zed Yago sia tutto fuorché sopita lo testimonia anche la presenza in scaletta di “Ogaydez“, titolo che letto al contrario….
Marco Tripodi