Recensione: Rest in Hell
Evidentemente nell’area di Bergamo deve esserci qualcosa, qualcosa che altrove non c’è. Viene immediatamente da pensare alle Orobie, monti ai quali hanno certamente guardato, traendone ispirazione, notevoli band di impostazione folk o pagan come Folkstone, Spellblast e Ulvedharr. Ma nel bergamasco c’è anche chi beve ad una fonte più oscura e sconosciuta, traendone risultati decisamente cupi: tra questi, accanto a nomi come Aleph, Imago Mortis e Veratrum, troviamo i nostri Soulphureus, i quali, più che volgere il proprio sguardo in alto, verso le cime innevate, sembrano guardare direttamente verso gli inferi. Del resto non è un caso se l’album in questione porta il nome di Rest In Hell.
Formatisi nel 2011 dalle ceneri degli Unholy Land, i Soulphureus si presentano con l’intento dichiarato di fondere il black metal tradizionale con il death di scuola americana e il thrash old school, completando il tutto con testi tra l’horror e il satanico. Per sapere se e come i Nostri siano effettivamente riusciti nel loro scopo, basta superare la breve introduzione dell’album in questione ed incontrare la devastante “Csejthe’s Bloodbathes”: trattasi di un distillato di black/death caratterizzato da un drumming martellante, parti di chitarra in tremolo come la migliore tradizione black esige, voce in growl e persino un brevissimo inserto in levare di matrice thrash. I tre elementi menzionati sono presenti anche nella seguente “Holy Trinity Desecration”, che si sviluppa in modo vario sia a livello ritmico che sonoro fino a giungere, dopo sette minuti e mezzo, ad un lento arpeggio conclusivo. Una formula simile viene sostanzialmente adottata, con qualche minima variazione, per tutte le tracce del lotto, tra le quali vale la pena segnalare “Burned by the Exorcism” e “Nemesis of the Light” per la loro notevole durata e “Gates of Doom” per la sua inquietante maestosità. Il valore dell’album è poi accresciuto dalla presenza di “The Exorcist”, cover dei Possessed: il brano è eseguito in modo ineccepibile dal combo bergamasco, che paga così un sentito tributo ad una delle numerose band alle quali s’ispira.
Volendo riassumere brevemente gli oltre 50 minuti di questo R.I.H., si può affermare che si tratta di un intreccio di elementi prevalentemente death e black di stampo old school. Tremoli di chitarra sostenuti da mitragliate di batteria che sconfinano nel blast beat, lenti arpeggi, riff pesanti e un growling di buona fattura sono i protagonisti del sound dei Soulphureus. Le frequentissime variazioni sonore e ritmiche all’interno dei singoli brani contribuiscono a rendere immediatamente interessante l’ascolto. Il risultato è per lo più dannatamente convincente, merito anche delle notevoli capacità tecniche di tutti i membri e di una produzione sonora bilanciata e mai artificiale. I componenti del quartetto bergamasco sono evidentemente degli appassionati divoratori di musica, il che li spinge a riproporre diversi elementi dei sound delle loro band di riferimento cercando di intrecciarli. L’unico evidente difetto che si possa mettere in luce è proprio insito in questo procedimento al quale i Soulphureus si attengono rigorosamente, limitando per forza di cose l’originalità dell’insieme. In altre parole, le varie tessere stilistiche vengono spesso proposte nella loro forma più tradizionale, senza passare prima da un’elaborazione particolarmente personale; inoltre tendono, a volte, ad essere solo giustapposte piuttosto che amalgamate: l’estrema varietà che caratterizza lo sviluppo dei singoli brani finisce quindi per essere un’arma a doppio taglio. Il rischio che la musica dei Soulphureus corre è cioè quello di diventare una sorta di centone, fatto non negativo in sé ma dai risvolti potenzialmente dannosi per l’attenzione a lungo termine dell’ascoltatore, confrontato con un processo tutto sommato prevedibile.
Il lato positivo della faccenda è che i difetti appena menzionati sono probabilmente imputabili ad una questione di approccio al songwriting e non tanto alla qualità dello stesso. Considerando che ci troviamo di fronte ad un debut album, non possiamo che levarci il cappello di fronte alla sua innegabile maturità. La convinzione, la tecnica e la passione che questi bergamaschi riversano nella loro musica è una vera e propria testimonianza di fede nella violenza sonora e lascia ben sperare in un futuro nel quale la loro furia possa mietere parecchie vittime.
Francesco “Gabba” Gabaglio
Discutine sul forum nel topic relativo!
Tracce:
01. The Forge of Souls
02. Csejthe’s Bloodbathes
03. Holy Trinity Desecration
04. Burned by the Exorcism
05. Gates of Doom
06. Nemesis of the Light
07. The Exorcist (Possessed cover)
08. Tombstones in Heaven
09. Soulphureus
10. Rest in Hell
Formazione:
Aren – basso e voce
Ades – batteria
Nacht – chitarra
Mornak – chitarra