Recensione: Restoration (EP)
È passato un anno dall’uscita di The Mountain, terzo lavoro degli Haken, che ha riscosso straordinari consensi di pubblico e di critica, consolidando la reputazione della band inglese al vertice del panorama progressive e prog-metal internazionale.
In questo 2014 il combo ha pensato di prendere tre pezzi dal suo primo demo-tape, realizzato tra il 2007 e il 2008, rielaborarli a cura dell’attuale line-up (per metà diversa da quella degli esordi underground), e ripercorrere così quelle note sulla base dell’attuale sound del gruppo.
Il risultato finale s’intitola “Restoration”, un EP uscito in questi giorni per la label InsideOut.
Il mini-album ha in proprio incipit in Darkest Light, la quale vede grandi protagonisti, tra l’altro, i suoni scaturiti da tasti d’avorio che richiamano alla memoria ELP, King Crimson e Transatlantic, e si sciolgono in ardite fughe strumentali, mentre la voce si arrampica su armonie solenni ed evocative. Le asce si palesano memori delle lezioni di Fripp e Wilson, e pure di quella degli Yes e della PFM del secondo e terzo album, mentre basso e batteria disegnano intricate e potenti ritmiche.
Il brano centrale, intitolato Earthling, predilige, invece, atmosfere più rarefatte, tra arpeggi di chitarra e tastiere che, insieme al canto, evocano inquietanti atmosfere alla Porcupine Tree.
Crystallised, infine, si lega alla precedente traccia per il tramite dell’intro misteriosa delle tastiere, ma poi si sviluppa in una suite di quasi venti minuti (come di prammatica), meravigliosamente aggrovigliata e piena di cambi di climi sonori, tra aperture sinfoniche e intuizioni memori di Gentle Giant (un’influenza costante, per gli Haken) e Béla Bartók, nonché di Genesis, Dream Theater, Porcupine Tree e Yes. Sugli scudi, qui, il lavoro delle chitarre, e c’è da segnalare la presenza di Peter Rinaldi (Headspace) e dell’immancabile Mike Portnoy (Flying Colors, ex- Dream Theater).
I brani di Restoration, in definitiva, mostrano gli Haken in una versione in cui s’evidenziano in maniere più scoperta le loro influenze musicali, in un amalgama sonoro appena meno omogeneo dei loro lavori recenti. Ma costituisce un bocconcino comunque altamente prelibato per gli appassionati di progressive-rock, che denota ancora una volta la maestria e la passione di questi sei musicisti britannici. In attesa, naturalmente, del prossimo full-length, che non vediamo l’ora di ascoltare.