Recensione: Resurrect
Prosegue la storia di “The Architect”, cominciata nel debut-album “Architects of Destruction”, che funge da centro anche per il secondo full-length dei transalpini The Walking Dead Orchestra, “Resurrect”, anch’esso un concept-album come il primo.
E, proprio come nel primo, “Resurrect” propone technical death metal dall’altissimo livello qualitativo. Davvero bravi, Florian Gatta e compagni, a elaborare un muro di suono durissimo e altissimo, come se fosse l’ultimo baluardo terrestre prima del baratro del nulla. La precisione chirurgica delle chitarre si fa apprezzare sia nella mostruosa fase ritmica, sia nell’emissione di assoli dissonanti, laceranti. Eccellente la forza propulsiva della sezione ritmica, agganciata alle turbinanti esplosioni dei blast-beats e alle complicate linee di un basso che non molla mai, neppure per un attimo. Nella norma l’interpretazione vocale del ridetto Gatta, basata su growling parecchio feroce ma comunque compreso entro i limiti delle coordinate stabilite dai dettami del genere, condita qua e là anche da harsh vocals, inhale e – addirittura – clean vocals (‘Vengeful Flavors’).
La struttura delle canzoni, come si può intuire, è complicata e mai lineare nelle sue membrature dal disegno ramificato e complesso. La tecnica nelle mani dei Nostri raggiunge il massimo livello possibile o quasi, facendo si che ciascuna song sia un mondo a sé stante, leggermente diverso ma comunque uguale a quelli delle altre tracce. Lo stile dei The Walking Dead Orchestra, cioè, è ben piantato sulle loro terre di conquista ma rende possibile la composizione di song abbastanza multiformi, tentacolari, tutte obbedienti a un sound semplicemente enorme, tutte dotate di singola personalità.
Certamente la difficoltà che si prova nell’approcciare “Resurrect” è molto alta, per cui occorrono molti ascolti per entrare nel caleidoscopico mondo di una formazione in grado di stordire chiunque, con il suo granitico e sterminato wall of sound.
L’umore è speso cupo (‘Area of Desolation’), buio, desolante, esemplificativo peraltro di una sensazione di caos apparente. Sono talmente tante, difatti, le note e gli accordi, che appare tutto raffazzonato a caso. Tuttavia, procedendo con i passaggi, “Resurrect” svolge via via le sue spire lasciando intravedere un songwriting che, invece, non lascia nulla al caso, nemmeno un decimo di secondo di incertezza, di vuoto, di caduta d’intensità.
Songwriting che, a volte, non riesce a compensare l’abnorme capacità esecutiva del combo di Grenoble, restando un po’ intrappolato in se stesso. Alla fine, il marchio di fabbrica dei The Walking Dead Orchestra non è così riconoscibile come meriterebbe la loro grande preparazione teorica e pratica. Pur essendo inamovibile lungo il percorso che porta da ‘Calvaire’ a ‘Desecrate’, il loro stile è parecchio simile a tanti altri che bazzicano l’universo del technical death metal, cioè.
Così come i brani, formanti una massa compatta che lascia intravedere con parsimonia le loro differenze che, come già detto, ci sono, risultando quindi piuttosto stancanti in virtù della mancanza di song capaci di svettare da un amalgama sì perfetto ma, alla lunga, un po’ noioso.
Non rimane che consigliare “Resurrect” solo agli appassionati del technical death metal: i The Walking Dead Orchestra mettono tantissima carne al fuoco ma, appunto, non commestibile per tutti.
Daniele “dani66” D’Adamo