Recensione: Resurrection
Ai tempi che furono i Death SS pretendevano di iniziare i Loro concerti a mezzanotte in punto, così da sublimare il patto d’acciaio siglato con quell’immaginario horror-occultista che fece di sicuro la Loro fortuna ma che si portò in dote anche una serie di sciagure, alcune delle quali immortalate nel libro Il Negromante del Rock, in pratica la storia del mastermind del gruppo Steve Sylvester, personaggio a tutto tondo.
Per rimanere fedeli alla linea, oggidì, 6 giugno 2013, vede la luce Resurrection, il disco del ritorno, per certi versi inaspettato, della band, quantomeno con un prodotto fuoriuscito da uno studio di registrazione. Data di certo scelta non a caso, infatti 6/6/2013 può essere ricomposto in 666, semplicemente aggiungendo al naturale “66” dato da giorno e mese anche l’ultimo “6” ricavato dall’anno 2013: 2 + 0 + 1 + 3 = 6.
Dopo il fortunato The Seventh Seal, infatti, pareva che la parabola musicale dei Death SS fosse destinata all’oblio, forte del raggiungimento di quel Settimo Sigillo che rappresentava il degno coronamento di un Circolo Magico che prese inizio nel lontano 1977, a chiudere una sorta di patto trentennale con Se stesso – ma non solo… – da parte del Líder Máximo “SS”. Testimonianza epocale dell’addio in terra italica fu il concerto all’Italian Gods of Metal del marzo 2008, con la formazione killer a due chitarre.
Sarà perché non esistono nuovo eroi degni di tale nome e il fenomeno dei ritorni eccellenti non accenna a diminuire ma sta di fatto che un’anima dannata come quella di Steve Sylvester, artista sempre in fermento e che non si fa negare nulla, fra una partecipazione cinematografica e l’altra e la consequenziale composizione di nuovi pezzi, evidentemente decide che siano maturi i tempi per risvegliare la Bestia, ed eccoci quindi qua a commentare le dodici trame contenute all’interno di Resurrection, prodotto che vede il prezioso lavoro di Emanuele Taglietti a curarne la copertina e l’artwork in generale. Pittore di culto e dalla fama internazionale, l’autore dei disegni di Sukia, Zora e La Poliziotta, accompagnò idealmente, con i suoi tratti grevi su nudità, guêpière e chiaroscuri, le prime pulsioni di generazioni di teen-ager degli anni Settanta e Ottanta. Oltre a questo vi è il ritorno al glorioso moniker: l’ultima volta che fu utilizzato per degli inediti risale al 1997, in occasione del disco Do What Thou Wilt. Due parole anche riguardo la formazione: oltre a Sylvester vi sono Al Denoble alla chitarra, il fido Glenn Strange al basso, la new entry Bozo Wolff alla batteria e una vecchia conoscenza quale Freddy Delirio alle tastiere.
Resurrection si apre con la “cattiva” Revived, scritta nel 2009 e apparsa per la prima volta nella puntata della fiction L’ispettore Coliandro “666” passata sugli schermi della Rai TV qualche tempo fa. La traccia marchia la naturale prosecuzione di quella Give ‘Em Hell di seventsealiana memoria, ove Steve dimostra di possedere ancora quell’acidità vocale malata che può piacere o meno, ma che da sempre incarna il vero trademark dei Death SS. A seguire The Crimson Shrine, rielaborazione dell’ “Inno a Pan” del celebre occultista inglese Aleister Crowley, pezzo che traduce in note lo sguardo del gruppo italiano rivolto verso i sussulti gotici provenienti da più parti del Nord Europa, come ben esplicitato dagli inserti delle voci femminili contenuti all’interno.
The Darkest Night, già pubblicata lo scorso anno nell’Ep omonimo, si rifà al tradizionale, quantomeno nell’accezione che identifica i Death SS in alcuni passaggi degli album successivi a Heavy Demons, disco che a tutt’oggi permane come il più fortemente rappresentativo del periodo stra-classico nella sua dimensione più defender. La vena creativa di Steve Sylvester & Co. 2013 raggiunge il proprio picco in Dyonisus, pezzo trasognato che rimanda inevitabilmente al passato aureo del gruppo di stanza a Firenze: grande melodia mista a un ottimo songwriting, in linea con i fasti degli anni Ottanta, interpretazione delle coriste inclusa. Per lo scriba uno dei pezzi migliori scritti dai Death SS negli ultimi quindici anni.
Uwe Boll, filmaker tedesco, chiede a Steve Sylvester un brano che si possa adattare alla colonna sonora di un film horror-splatter moderno: ecco servita Eaters, traccia numero cinque dell’album, inquietante come da richiesta. Star in Sight si rivela l’altro highlight assoluto del disco della Resurrezione: evidentemente evocare cose di Aleister Crowley, così come in Dyonisius, porta bene ai Death SS che confezionano un pezzo articolato che sapientemente mesce atmosfera e violenza, ancora una volta riandando al pathos emanato da The 7th Seal del 2006. Ciliegina sulla torta le azzeccate voci bianche presenti in alcuni passaggi.
Ogre’s Lullaby è tanto cinematografica – vedasi il film Paura 3D – quanto agghiacciante nella sua vena Argentea, oltreché per certi versi completamente slegata da quanto finora proposto da Resurrection. Santa Muerte celebra la famosa Madonna dalle sembianze scheletriche, venerata dai ceppi ispanici e successivamente assurta a sigla del serial TV Squadra Investigativa Speciale, nella quale Sylvester ricopre un ruolo di attore. La successiva The Devil’s Graal è solenne, ipnotica, degna continuatrice del cammino artistico interrotto con il Settimo Sigillo, ispirata agli orrori commessi decenni fa dal Mostro di Firenze. The Song of Adoration racchiude l’anima celestiale insieme con quella maledetta dei Death SS 2013, anche in questo caso il seme instillato da Crowley colpisce abbondantemente nel segno con un singolare capitolo del Suo Book of the Law, tradotto in note dal combo fiorentino e insufflato da inserti etnici di marca egizia. Passa senza impressionare la modernista Precognition e il disco si chiude con la rock’n’rolleggiante Bad Luck, episodio nel quale la band ironizza riguardo tutti quelli che negli anni nemmeno hanno avuto il coraggio di nominarli per esteso perché secondo Loro portava sfortuna, una presa in giro bella e buona indirizzata a gente priva di spirito, elemento che viceversa i Death SS dimostrano di possedere a quintali.
Se pressoché ogni singolo pezzo contenuto all’interno di Resurrection può vivere di vita propria, altrettanto non si può asserire nei confronti dell’album in quanto tale. Il disco pecca nei rispetti della continuità, ossia quel sottile filo invisibile che idealmente lega le tracce fra loro e magicamente le fa crescere in modalità sinergica ascolto dopo ascolto. L’effetto finale è quello di aver fra le mani un ben concepito best of, con tutti i pregi e difetti del caso.
Al di là di questo, l’ulteriore e succosa notizia è che la band tornerà ad esibirsi dal vivo, in contesti mirati, il primo dei quali si terrà a Noto (Sr), e vedrà i Death SS in posizione di headliner al Metal Camp Sicily il prossimo 16 agosto. La lunga attesa è finalmente finita. W(Hell)come Back!
Stefano “Steven Rich” Ricetti