Recensione: Resurrection Day
I Rage sono uno di quei nomi che, da oltre trentacinque anni, rappresentano un’autentica istituzione nel mondo del metallo pesante. Nel corso della sua carriera la formazione capitanata dal leggendario bassista-cantante “Peavy” Wagner ci ha regalato delle gemme assolute, album personalissimi che sono passati alla storia. Oltre a questo, poi, i Rage ci hanno abituato a repentini cambi di line-up, improvvisi stravolgimenti di formazione e anche qualche ammutinamento. Un aspetto che ha permesso ai Nostri di rinnovarsi, senza però snaturarsi. Non a caso i vari cambiamenti sono sempre arrivati dopo dei momenti di appannamento della band, vuoi a livello di ispirazione, vuoi per tensioni interne. E ogni cambio di line-up non ha mai affossato la formazione tedesca, anzi, ne ha sempre rilanciato il nome. Basti pensare a dischi come “Black in Mind”, pubblicato dopo “l’evoluzione” a quattro elementi avvenuta negli anni Novanta, ai vari “Unity” e “Soundchaser”, dati alle stampe con la line-up stellare dei primi anni Duemila, fino al più recente “The Devil Strikes Again”, pubblicato con l’ultima reincarnazione a tre elementi. Dopo quell’album “Peavy” e i suoi fidi compagni hanno realizzato altri due dischi, che però non hanno riscosso lo stesso entusiasmo tra i fan. Una reazione causata forse da una piccola perdita di ispirazione da parte dei Nostri, o forse per un processo di ammodernamento del sound che, probabilmente, non ha convinto del tutto i die hard fan della compagine tedesca. Forse consapevole di questo aspetto, il buon “Peavy” ha messo a segno una nuova rivoluzione nei suoi Rage: fuori il chitarrista Marcos Rodriguez, che militava nel combo teutonico dal 2015, e dentro due nuove asce – Jean Bormann e Stefan Weber – per un ritorno a una line-up a quattro elementi. “Peavy” ha commentato questo ennesimo cambiamento come un qualcosa di necessario per il bene e per il prosieguo stesso dei Rage, una nuova rivoluzione che ci consegna il venticinquesimo album della formazione tedesca, dal significativo titolo “Resurrection Day”.
Con “Resurrection Day” i Rage continuano a percorrere il sentiero su cui si erano incamminati con gli ultimi dischi. Il combo teutonico prosegue infatti con quell’ammodernamento del sound citato qualche riga sopra, anzi, potremmo dire che il nuovo album ne accentua ulteriormente la svolta, se così la vogliamo chiamare. Basta ascoltare il lavoro della nuova coppia alle sei corde per rendersene conto. Canzoni come ‘Virginity’ – caratterizzate da un guitarwork ricercato, carico di fraseggi e soluzioni “moderne” – parlano chiaro. Queste soluzioni, poi, vanno a influenzare sia la sezione ritmica, che le linee vocali. Non a caso il ritornello di ‘Virginity’, pur risultando in pieno stile Rage, si presenta con delle sfumature nuove per “Peavy” e compagni. Ma in “Resurrection Day” – come sottolineato dal buon “Peavy” durante la presentazione dell’album – sono contenute due anime: una più moderna e una più classica. Lo stesso bassista-cantante ha definito il nuovo disco come un lavoro capace di rappresentare i Rage del 2021, in cui il tradizionale power con echi thrash, che ha sempre contraddistinto i Nostri, si sposa con delle soluzioni al passo con i tempi. In questo modo “Resurrection Day” risulta sì un disco dal marchio Rage, ma porta con sé una ventata d’aria fresca. E se per descrivere l’anima più “moderna” dei “nuovi” Rage abbiamo citato ‘Virginity’, ci serviamo della title track di “Resurrection Day” per descrivere il lato più classico presente nell’ultima fatica della formazione tedesca. E non a caso, infatti, le due canzoni sono piazzate in successione, subito dopo l’intro, in apertura d’album, come a voler sottolineare le due anime che contraddistinguono i Rage del 2021. L’ascolto prosegue poi con piacere grazie a composizioni come ‘A New Land’ e ‘Arrogance and Ignorance’, in cui le due anime appena descritte si sposano alla perfezione. Fino a questo punto, quindi, “Resurrection Day” si presenta in maniera esplosiva, con canzoni coinvolgenti e cariche di adrenalina, valorizzate da una produzione potente e curata. Un aspetto che dona un’iniezione di entusiasmo per il prosieguo del disco. Purtroppo, però, capita un qualcosa che non ci aspettavamo assolutamente. “Resurrection Day”, all’improvviso, perde quel mordente che aveva fin qui sfoggiato. La sua parte centrale è infatti caratterizzata da canzoni ben strutturate e suonate, ma a cui manca quella carica, quell’esplosività sfoggiata in apertura d’album. Gli stessi ritornelli, da sempre un punto di forza dei Rage, risultano un po’ “trascinati”, non riuscendo a coinvolgere come dovrebbero, come succedeva nelle canzoni poste in apertura d’album. Il disco si risolleva nel finale, grazie a tracce come la piacevole ‘Traveling Through Time’, che trae ispirazione da un’opera del compositore Giorgio Mainero, la semi-ballad ‘Black Room’, uno dei pezzi più intensi dell’album, e la conclusiva e classicissima Rage song ‘Extinction Overkill’.
“Resurrection Day” si rivela così un buon album, a cui, però, manca quel qualcosa in più per poter competere con i migliori dischi messi a segno dai Rage. In poche parole, insomma, la nuova fatica del combo tedesco si attesta sul livello qualitativo mostrato con gli ultimi lavori. Un album convincente, quindi, ma i Rage – nella loro carriera – ci hanno abituato a degli standard ben più elevati. Forse è proprio questo aspetto che ci fa vedere il bicchiere mezzo vuoto. Poi, ovviamente, dipende sempre dalla prospettiva da cui lo si guarda. Ma che il bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto, il livello del liquido contenuto al suo interno rimane sempre a metà. Ripensando poi ai dischi citati in apertura di queste righe, giusto per portare qualche esempio, beh, lì il bicchiere era – ed è – sicuramente colmo, e di qualità, verrebbe da aggiungere. C’è poi un altro aspetto che va a penalizzare “Resurrection Day”: la prova di “Peavy” al microfono; la sua voce, purtroppo, inizia a non brillare più come un tempo, in particolare nelle parti più alte del suo registro. Il peso degli anni inizia forse a farsi sentire… Un’ultima riflessione la dobbiamo poi fare sulla criticata – da alcuni – scelta della band di modernizzare il proprio sound. Se ci soffermassimo a guardare la storia dei Rage, potremmo notare come la band sia sempre stata all’avanguardia e non si sia mai fossilizzata all’interno di un determinato schema. Un qualcosa forse dovuto ai continui cambi di formazione che hanno caratterizzato la compagine tedesca. I Rage sono questi, insomma. Quelli che intende “Peavy”, almeno. Non possiamo chiedere al bassista-cantante di riproporre lo stile degli anni Ottanta, o inizio Novanta, non con i Rage. Se volessimo quelle sonorità ci sono i Refuge. E partendo da questa riflessione possiamo dire che i Rage sono tornati e “Resurrection Day” è la perfetta rappresentazione di cosa sia la band nel 2021. Prendere o lasciare.
Marco Donè