Recensione: Retribution
Abbastanza singolare discutere di questa nuova uscita di Jeff Scott Soto, descrivendola come primo album solista pubblicato da cinque anni a questa parte dopo il buonissimo “Damage Control” del 2012.
Il tentacolare vocalist statunitense, infatti, non ha di certo perso tempo, rimanendo fuori dal circuito per un periodo così lungo. Duplicatosi in numerosi progetti, il buon Jeff ha comunque calcato le scene, prima con gli ottimi W.E.T. (in compagnia di membri di Eclipse e Work of Art) e poi con l’ennesimo side project a nome SOTO, valvola di sfogo con cui dar voce agli istinti più heavy e realizzare due album, per finire recentemente con il supergruppo Sons of Apollo, coadiuvato da personaggi d’elite quali Mike Portnoy, Ron Thal, Billy Sheehan e Derek Sherinian, il cui debut è fuori da poche settimane.
Dobbiamo però essere sinceri. Il Jeff Scott Soto che a noi piace di più è proprio quello “classico”. Quello che fa propri gli stilemi tipici dell’hard rock che hanno innervato le canzoni di Talisman, Eyes e Takara, le band con cui Soto si è originariamente imposto agli inizi degli anni novanta.
Quelli che, da sempre, sono protagonisti anche delle sue cosiddette “uscite soliste”, giunte con questo “Retribution” al sesto capitolo in carriera.
Ricollegando la memoria proprio al 2012, anno di pubblicazione di “Damage Control”, viene dunque spontaneo gettare un ponte con il recente passato, dimenticando per un attimo tutto quanto accaduto nel frattempo.
Ed ecco quindi un “nuovo” album di hard rock “vecchia” maniera.
In fondo come ce ne sono tanti, diranno alcuni.
Sì…ma con l’aggiunta di una voce talmente intensa, calda ed espressiva da apparire praticamente unica.
Si sa, Soto è da anni uno dei “top player” del genere: nulla di eclatante quindi, quando affermiamo di essere al cospetto di corde vocali che, ormai quasi banalmente, sconfinano nell’empireo. Eppure riascoltarlo all’opera è sempre un’esperienza emozionante e significativa, anche su canzoni che magari non spiccano per originalità o per particolari trovate innovative, proprio come nel caso di questo nuovo capitolo, buon disco che non ha nel songwriting doti tali da renderlo nettamente superiore.
I brani, in effetti, si attestano regolarmente su di un taglio qualitativo di livello accettabile sebbene un po’ routinàrio, ancorati con forza asfissiante ad uno stile che ha proprio nei vecchi Talisman un raffronto in cui specchiarsi e riconoscersi. Il che non significa, ovviamente, mediocre, tedioso o deprimente, quanto piuttosto “familiare” e già ben conosciuto. Con tutto ciò che ne consegue nel bene e nel male.
Quello che ci attendevamo e speravamo, dopo tutto: un album che alterna momenti di penetrante irruenza a passaggi setosi ed ammorbiditi, all’insegna di un canovaccio che si perpetua nel tempo con confortante costanza.
Le iniziali “Retribution”, “Inside-Outside” e “Rage of the Year” descrivono la parte più ruggente del Soto-style, un florilegio di chitarre ruvide, ritmiche incalzanti e vocals che graffiano. È però con il nucleo centrale del gruppo di canzoni che il dualismo ben assortito di classe e vigore manda a compimento una serie di tracce davvero godibili e riuscite. “Reign Again” sembra cambiare repentinamente registro, mettendosi a flirtare con l’AOR dei scintillanti eighties, mentre “Feels Like Forever”, primo lento in scaletta, pare messa apposta lì per dar lustro alla voce di un interprete sublime.
L’apice viene colto però con “Last Time”, pezzo in tempo medio dai tratti notturni che dona suggestioni ed eleganza: un sussulto “Talismaniano” che centra in pieno l’obiettivo.
C’è poi spazio per la cadenzata “Bullet for my Baby” prima dell’intensa “Song for Joey”, altro slow a lume di candela dai tratti cantautoriali.
Cosa manca?
Il roccioso hard di “Breakout” – passaggio in cui sembra quasi di riascoltare il suono di basso del compianto Marcel Jacob – il ritorno alle sonorità anni ottanta di “Dedicate to You” – brano dalla melodia vigorosa quanto solare – ed il terzo istante soffuso dell’album, un commiato acustico per voce e chitarra intitolato “Autumn” che, proprio in tema con i colori della stagione autunnale, saluta con accenti tenui e ritmi rilassati.
In definitiva, il disco che ci attendevamo da Jeff Scott Soto.
Un cd che alterna ruvidezza ed eleganza, ponendo in risalto, più di tutto, il talento di un interprete sopraffino che non ha di certo bisogno di ulteriori conferme per essere annoverato tra i migliori in termini universali.
Dedicato, come detto più volte, ai cultori di Talisman ed Eyes ed alla radice più tipicamente e strenuamente Hard Rock.
Quello che, come un vecchio giubbotto di pelle nera, non passa mai di moda e si adatta sempre ad ogni occasione.