Recensione: Return In Bloodred

Di Leonardo Arci - 27 Settembre 2005 - 0:00
Return In Bloodred
Band: Powerwolf
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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63

Una considerazione sulla quale al giorno d’oggi è facile essere d’accordo è quella secondo la quale la scena metal attuale molto difficilmente riesce a proporre qualcosa di innovativo che possa emergere tra le numerose ma piuttosto omogenee e standardizzate uscite discografiche. Non che sia un compito facile, tutt’altro, ma spesso si ha la sensazione che le nuove bands preferiscano sempre meno rischiare per proseguire lungo percorsi già ampiamente battuti nella speranza di ritagliarsi un proprio piccolo spazio. La Metal Blade ha deciso di puntare forte su questi 5 ragazzi addirittura presentandoli come il gruppo della rinascita di un certo tipo di metal cupo, oscuro, horrorifico ma anche molto semplice nella struttura del songwriting, melodico ed orecchiabile, con cori facilmente memorizzabili, di facile accesso e di immediato appeal.

Una simile premessa era doverosa per introdurre questo nuovo gruppo che oserei definire alquanto sui generis , non tanto per la proposta musicale di cui i nostri si rendono protagonisti, quanto per il differente background di ciascuno dei membri della band. La mia impressione è che questi ragazzi non intendano prendersi troppo sul serio, sono ampiamente consapevoli delle oggettive difficoltà di affermarsi nel business musicale odierno, tuttavia hanno tutta l’intenzione di proseguire lungo la strada appena intrapresa senza dare la minima sensazione di voler scendere a compromessi. Questo atteggiamento porta i nostri a presentarsi in scena con costumi e maschere sulla scia di leggende quali Kiss e Mercyful Fate sopra tutti, e da quanto affermato dalla stessa band, il make up sarà riproposto anche on stage, essendo la musica proposta dai Powerwolf molto teatrale e di facile ambientazione scenica.

La band nasce in Germania su impulso dei due fratelli Greywolf, entrambi chitarristi amanti del metal ottantiano ed in cerca di componenti per dar vita finalmente ad una band vera e propria: ecco che ai già citati fratelli Greywolf si aggiungono nel 2002 il tastierista Falk Maria Schlegel, che aveva fino ad allora militato in formazione dedite al genere prog e aor, ed il drummer francese Stefane Funebre. Ben consapevoli del genere e dell’impronta da dare alla loro musica, i fratelli Greywolf si misero alla ricerca di un singer che fosse a proprio agio nell’interpretazione della musica che i due axemen, principali compositori, avevano in mente. La scelta del frontman, nonostante le assidue ricerche ed audizioni, fu dovuta al puro caso: in uno dei loro viaggi in Romania i due chitarristi conobbero Attila Dorn, un ragazzo interessato ad entrare in una metal band nonostante avesse alle spalle una preparazione classica e dotato di un timbro vocale piuttosto interpretativo, molto simile per certi versi a Peavy Wagner dei Rage ma che in alcuni frangenti mi ha riportato alla mente Alice Cooper (più per l’interpretazione che per la timbrica) e anche James Hetfield, soprattutto nell’opener.

Come abbiamo detto i principali compositori sono i due chitarristi, da loro infatti nascono le idee sulle quali tutta la band in un secondo momento lavora. I testi invece sono affidati al rumeno Attila Dorn, e considerato che nell’arco di tutto il disco non si fa altro che narrare vicende di vampiri e lupi mannari, questa scelta risulta alquanto azzeccata. Attraverso i propri testi la band vuole offrire un’immagine più “spirituale” di tali figure, in contrapposizione a certi luoghi comuni che li vedono ora come i cattivi di turno ora come nuovi eroi romantici.

Il genere proposto da questi 5 ragazzi si avvicina molto a quanto proposto da bands storiche quali Mercyful Fate, Black Sabbath, Angel Witch, Demon, sonorità dunque piuttosto cupe ed evocative, a tratti con ritmiche cadenzate che sconfinano nel doom ed in altri momenti con ritmi più veloci e cori molto semplici ed immediati. L’opener St. Sinister parte piuttosto lenta con un riffing molto catchy e con linee vocali che mi ricordano molto James Hetfield, mentre il riffing su cui poggia il refrain centrale segue strutture molto vicine ai già citati Angel Witch. La successiva We Came To Take Your Soul si basa su un riff di chitarra orientato verso sonorità ottantine, la voce di Attila invece mi ha ricordato alcune linee vocali utilizzate dal povero Quorthon in Blood on Ice soprattutto, mentre nel bridge si avvicina molto alla timbrica di Peavy Wagner. Tutto sommato la traccia è piuttosto scontata, soprattutto nel chorus, ma nonostante ciò godibile. The Kiss Of The Cobra King si sviluppa su velocità più sostenute rispetto alle due tracce precedenti, qui le tastiere creano un’atmosfera avvolgente e cupa nel break centrale per dar vita ad un assolo della lead guitar anch’esso in perfetto stile anni ’80. C’è spazio anche per un break di basso che mi ha ricordato certi intrecci in puro stile Iron Maiden. Black Mass Hysteria ritorna su sonorità più cupe sviluppandosi su un riffing quasi sabbathiano, il ritornello però rischia di rovinare una canzone che altrimenti sarebbe stata tra le mie preferite: in particolare non digerisco il continuo uso di riempitivi quali “oh-oh” oppure “woh” che alla fine risultano non un semplice riempitivo ma il coro in tutta la sua durata. Per fortuna c’è il tempo di piazzare un assolo di lead guitar che spezza  questa traccia un po’ troppo monotona. Demons & Diamonds è probabilmente la traccia più hard rock dell’album, la struttura ritmica sembra tirata fuori da un disco dei seventies mentre la voce di Attila nuovamente qui ricorda la timbrica del singer dei Rage. Il chorus è per fortuna arioso e quasi epico, introducendo quindi elementi finora poco sperimentati dal quintetto in questione.
Mantecare si presenta piuttosto simile alle prime tracce del disco, trattasi di un mid tempo alquanto compatto e massiccio con un riffing cupo che è poi il vero marchio di fabbrica di questa band. La successiva The Evil Made Me Do It sembra proseguire lungo la direzione stilistica indicata dalle tracce precedenti, il riffing iniziale è molto lento e finanche in doom style mentre le linee vocali nel coro centrale si avvicinano molto a certe linee interpretative di sua maestà Ozzy Osbourne. Ancora una volta ritroviamo liriche basate su un costante e, a mio avviso, irritante uso di coretti che rendono la canzone decisamente noiosa precludendone il buon risultato finale. Lucifer In Starlight si sviluppa anch’essa su ritmi cadenzati di stampo sabbathiano lasciando l’onere alle tastiere di creare un’atmosfera oscura e a tratti vagamente folkloristica. La prova del singer si assesta anche qui su buoni livelli, come del resto per tutta la durata del disco, peccato solo che il songwriting non sia sfruttato come la voce di Attila meriterebbe: mi riferisco soprattutto ai cosi, spesso troppo banali ed immediati, mentre secondo me avrebbero dovuto essere un po’ più articolati e meglio sviluppati proprio per dare l’opportunità al frontman di mettersi maggiormente in evidenza con un cantato più vario e completo. La conclusiva Son Of The Morning Star è differente dal resto del disco, qui Attila dimostra tutta la sua bravura dietro al microfono con un cantato di tipo operistico e baritonale grazie al quale conferisce al brano una venatura vagamente gothic oriented. Dopo un’introduzione di piano e voce (bello il duetto tra Attila e una voce femminile) la traccia prosegue su ritmi lenti ed atmosfere dark per una rock opera dal piglio piuttosto sperimentale.

In conclusione, il lavoro proposto dai Powerwolf risulta essere un po’ datato sia per quanto concerne le strutture ritmiche e anche le linee melodiche eseguite, sia per quanto riguarda le liriche (i soliti vampiri e lupi mannari proposti da centinaia a centinaia di altre bands). E’ tutto sommato un disco ben suonato e ben prodotto (da Fredrik Nordström) e nonostante qualche episodio fuori posto e certe banalità e scelte alquanto scontate e discutibili nel songwriting, può essere ben apprezzato dagli amanti di sonorità a cavallo tra classic metal degli anni ’80 e hard rock, quelle che hanno fatto la fortuna di bands del calibro di Mercyful Fate, Black Sabbath, St. Vitus, Demon.

Leonardo “kowal80” Arci

Tracklist: 
1. Mr. Sinister
2. We came to take your soul
3. Kiss of the cobra king
4. Black mass hysteria
5. Demons & Diamonds
6. Mantecore
7. The evil made me do it
8. Lucifer in starlight
9. Son of the morning star

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