Recensione: Return of the Black Butterflies
Da tempo, ormai, la Finlandia va indicata come una delle patrie del metal. Doom e death metal sono i generi più in voga, nella terra dei Mille Laghi, e davvero sono molti gli ensemble dotati di talento e preparazione tecnica.
A essi, occorre accumunare i Red Moon Architect, nati nel 2011 in quel di Kouvola e autori, sin’ora, di tre full-length di cui l’ultimo in ordine di tempo s’intitola “Return of the Black Butterflies”.
Il loro doom è pesantissimo, lentissimo, ricco di melodia; assai emozionale. Non a caso, alla voce, oltre al growling possente e profondo di Ville Rutanen, ci sono le mirabili linee vocali di Anni Viljanen, cantante eccellente che rappresenta un po’ una certa novità, nella foggia musicale in questione.
Non che il sound dei Nostri sia da particolar menzione per novità che, in effetti, non ci sono; tuttavia ascoltare il duetto fra Rutanen e la Viljanen regala senz’altro qualche brivido caldo. Quasi che la naturale propensione del doom verso l’esplorazione delle più recondite aree dell’animo umano si accordi alla perfezione ai timbri di un’ugola femminile. La spettacolare mancanza di cinetismi unita a una pesantezza quasi senza limiti è, peraltro, caratteristica del funeral doom metal, fattispecie cui è istintivo associare il quintetto scandinavo. Pregno, come più su accennato, di un notevole bagaglio di armonie e spettacolari cascate di note dolci e delicate (‘Tormented’).
Con una premessa del genere, diviene logico prendere atto della buona capacità visionaria posseduta dalle sei song del platter, probabilmente culminanti – come riuscita complessiva – nella gigantesca title-track, ‘Return of the Black Butterflies’ nonché nella suite finale ‘NDE’, enormi manifesti di un tipo musicale in grado di dar vita a intense emozioni, a vivide sensazioni. Esattamente come accade durante un viaggio in qualche desolata, sperduta, selvaggia landa pianeggiante, sferzata da venti gelidi vanamente scaldati da un sole pallido e smorto (‘Journey’).
I Red Moon Architect sono molto regolari, perfettamente consci di ciò che suonano. Difatti, “Return of the Black Butterflies” è un lavoro adulto, maturo, il cui marchio identificativo è ben chiaro, il quale accompagna l’esecuzione dei brani di cui si compone; legati assieme da uno stile personale e coerente con se stesso. Sempre (‘End of Days’). Un buon pregio che, paradossalmente, determina l’unica pecca, non grave, dell’opera stessa: la mancanza di uno o più episodi leggendari. La media generale è più che discreta ma si sente l’assenza di vette che riescano a far emergere con decisione la bravura dei Nostri, quasi fossero intrappolati nel loro medesimo sound.
Con che, alla fine, si rimane un po’ con l’amaro in bocca, nel senso che si riesce a percepisce con chiarezza che i Red Moon Architect abbiano con molta probabilità, nelle loro corde, l’abilità necessaria per creare qualcosa di grande che, di contro, in “Return of the Black Butterflies”, non c’è.
Daniele “dani66” D’Adamo