Recensione: Return To Void
Disco di ampio respiro per i Return To Void, progetto finlandese nato come band nel 2015 e che ora regala al pubblico questo primo omonimo capitolo. Il sound con cui gli artisti ci allietano è un progressive rock che, in più punti, si sposta all’hard rock. Suoni raffinati i loro, che mai sforano in eccessi di protagonismo, vivendo di un entusiasmo limpido e che definiremmo anche da “strada”.
Due spiriti: uno più elitario, l’altro più disadorno e di impatto, un compromesso che, in questi termini, ci colpisce, regalando emozioni che, a volte, paiono inconciliabili.
Accademici fraseggi si intrecciano con un’austerità e forza che si traducono in ritmiche dissonanti e riff di chitarra robusti. Ritornelli e poi più intricate suite strumentali dialogano idealmente, in un full-length che vive di un teorico dualismo che poi, a conti fatti, non esiste. Non è infatti una regola che determinati suoni ed attitudini non possano convivere, come del resto non significa che una persona genuina non possa essere anche aristocratica.
Il saloon diventa luogo di riflessione, in cui si può essere se stessi sino in fondo, nel momento ludico ed in quello più profondo. Il disco scorre via piacevole, a tratti spiccando anche di una lucentezza heavy metal, soprattutto negli assoli delle chitarre. Non a caso tre degli attuali componenti, prima di creare questa realtà, facevano cover acustiche dei brani di Bruce Dickinson.
Al di là di ciò, è come se prendessimo Genesis, Aerosmith e Fates Warning prima maniera, mescolassimo il tutto, creando una miscela il cui sapore non sarebbe un semplice accomodamento. “Return To Void” è godibile, ben suonato e potrà essere apprezzato da un’ampia gamma di ascoltatori, senza poi in effetti scontentarne nessuno davvero, perlomeno se non siete dei nudi e crudi esegeti dei filoni.
Stefano “Thiess” Santamaria