Recensione: Revelation Highway
Il periodo a cavallo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta resta uno dei più affascinanti nella storia del nostro genere; non solo e non tanto per la qualità della musica, quanto per l’occorrere di una serie di stravolgimenti a più livelli. Avvenne un distacco progressivo dal glam ostentato e un contemporaneo avvicinarsi a look più stradaioli, che contrastavano con capigliature ancora gonfie di lacca. La musica tese a canonizzarsi, quasi avesse ormai incanalato il proprio potenziale in un modello dettato solo dal portafogli. Ed infine ecco il killer, che uccise il moribondo: un nugolo di tristi giovani della generazione X, vestiti di camicie di flanella comprate di seconda mano in un negozio alternativo di Seattle, riuscì a cancellare i lustrini di Los Angeles e rimpiazzare le groupie con il piacere malato della depressione.
In queste circostanze ebbero il proprio breve momento di gloria alcune band, che avremmo alla lunga rimpianto. Tra esse, nitidi si stagliano sull’orizzonte del tempo i nomi di Steelheart, Slaughter e Firehouse. Della partita erano anche i Babylon A.D.
Autori di due album di buon successo tra il 1989 e il 1992 e fautori di qualche hit minore (The Kid Goes Wild e Bang Go the Bells su tutte), la band originaria di San Francisco perde la bussola nel delirio grunge e scompare fino all’alba del nuovo millennio, quando esce il trascurabile American Blitzkrieg. Oggi, accasatisi con la Frontiers, sempre attenta anche ai nomi che furono, i californiani tornano con il nuovo album Revelation Highway.
Vorrei scrivere che, per suonare un certo genere, serve la giovane età. Ma sarei smentito da una lunga lista di band un po’ attempate che ancora dominano solchi e palchi. Mi limito, dunque, a dire che la giovane età, con l’entusiasmo e la voglia che le è connaturata, a volte consente di trascurare la mancanza del grande talento. E i Babylon A.D. non sono mai stati grandemente talentuosi, ma certo una buona band di onesti rocker, che circa venticinque anni fa riuscirono a scrivere pezzi freschi che, pur con qualche ruga, hanno resistito all’impatto del tempo.
Revelation Highway è, dunque, come ve lo potete aspettare. Privato della scintilla giovanile, è una valida raccolta di pezzi hard rock, ben suonati e arrangiati, oltre che ottimamente prodotti: canzoni di presa immediata, a tratti entusiasmante per il rocker d’annata, ma destinate a vita breve.
Prendete l’opener dell’album, Crash and Burn: charleston aperto, classico riffone hard-sleaze, canonico bridge e ritornello di circostanza. Forse più stradaioli di due decenni fa (a tratti pare di ascoltare gli L.A. Guns), i Babylon A.D. ce la mettono tutta e il risultato è piacevole, ma sostanzialmente inerte.
Fool On Fire non aggiunge molto, mentre il singolo One Million Miles convince maggiormente, grazie a un tono strascicato che ricorda vagamente i Faster Pussycat.
Dopo un’apertura da power ballad, Tears si trasforma in un hard rock veramente “protonovantiano” che rivela tutti i propri anni. Non male, per carità, ma senza nerbo e parzialmente anacronistico.
She Likes to Give It ha un titolo che più anni ottanta non si può ed è forse la cosa migliore di un pezzo che prova in ogni modo a ricalcare i fasti dei primi due dischi della band, in parte riuscendoci, in parte scadendo nell’autocitazionismo.
Più accattivante è, invece, Rags To Riches, forte di un riff molto vecchia scuola ma capace di suonare ancora fresco, grazie a una linea melodica e una dinamica d’insieme finalmente convincenti.
Last Time For Love è un mid tempo di inizio anni novanta (ancora) e ha una propria dignità di vecchia signora. Ma non vivrà a lungo. Lo stesso dicasi per la discreta I’m No Good For You.
Finalmente arriva Saturday Night, che scalda l’atmosfera e porta un divertimento che sarà anche canonico e strasentito, ma alla fine ci piace sempre.
E infine un riffone quasi class metal (un po’ Dokken) apre Don’t Tell Me Tonight, che purtroppo non regge il proprio minutaggio e stanca già all’altezza del ritornello.
Nel complesso, Revelation Highway è un album trascurabile. Non mi sarei aspettato niente di epocale dai Babylon A.D., ma, pur nella sufficienza, il disco non solo non è in grado di colpire le nuove generazioni hard rock, ma neppure arriva a solleticare gli spiriti mai sopiti dei quarantenni che amarono Nothing Sacred più di due decenni fa. E questo sarebbe già stato un risultato.