Recensione: Revelations
Secondo full-length per i The Prophecy, band proveniente dallo Yorkshire, Gran Bretagna, dunque dalla stessa regione che ha dato i natali niente meno che ai Paradise Lost, e dallo stesso paese anche dei My Dying Bride e degli Anathema; similitudini che non si fermano alla provenienza geografica, ma si estendono anche e sopratutto alla proposta musicale. Formatisi nel 1999, i The Prophecy, dopo due demo, giunsero al primo album (Ashes) nel 2003 con un riscontro abbastanza positivo e un discreto successo; ora, nel 2007, è la volta di Revelations, un disco che come il precedente va ad inserirsi nel filone del doom melodico, ma che rispetto ad Ashes mostra anche una certa progressione stilistica.
Revelations, infatti, si mostra più strettamente legato al doom di quanto non lo fosse Ashes, che coi suoi tempi mai troppo dilatati, ma anzi anche piuttosto sostenuti in certi frangenti, finiva per avvicinarsi di più a un certo tipo di death melodico, che non al doom propriamente inteso. Revelations invece se la prende più “comoda”, rallenta leggermente l’incedere, ma non perde di vista quello che da sempre è il fulcro della musica dei The Prophecy: la melodia. E questa volta l’aspetto melodico e romantico è messo in risalto anche da un uso molto maggiore della voce pulita a scapito del growl, che mentre prima era prevalente, è adesso relegato più che altro a passaggi di durata non troppo estesa. Il maggiore uso di voce pulita può anche rivelarsi un’arma a doppio taglio però, poichè chi aveva apprezzato la generale vena aggressiva del precedente album potrà rimanere interdetto dallo spazio decisamente maggiore che è stato dato stavolta alla rilassatezza e alla melodia. Tuttavia c’è da riconoscere che il cantante dimostra di essere molto preparato, sfoderando una voce intonata, dall’ottima estensione, e perfettamente capace di quelle interpretazioni teatrali e drammatiche che questo tipo di doom richiede. Spicca anche l’uso della chitarra, che si produce talvolta in assoli molto coinvolgenti, che raramente sono contemplati in produzioni del genere. Visto che di doom melodico stiamo parlando, ovviamente anche le tastiere hanno un ruolo fondamentale nella creazione delle atmosfere malinconiche, romantiche e sofferte attorno alle quali ruota la musica, impreziosite sporadicamente anche dall’uso del violino. Se c’è una critica da muovere al platter è forse l’eccessiva omogeneità, il suo soffermarsi troppo a lungo sulle atmosfere di cui sopra; una maggiore varietà, una più cospicua presenza di sferzate di velocità, e un maggiore uso del growl avrebbero contribuito a variegare la proposta, ora che la bilancia si è definitivamente spostata sul versante della melodia. D’altra parte però, chi apprezza proprio questo tipo di musica, probabilmente troverà nelle succitate caratteristiche non dei difetti, ma degli ulteriori motivi di apprezzamento.
Revelations è un album molto buono, che non aggiunge niente di nuovo al genere, ma svolge il suo compito in modo convincente, sincero, e senza alcuna pecca di rilievo. Chi apprezza gruppi come My Dying Bride, Anathema, Saturnus, o The Fall of Every Season, non si lasci scappare la nuova fatica dei The Prophecy: troverà sicuramente pane per i propri denti, e per parecchio tempo.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – Odyssey (07:04)
2 – Rivers (08:28) * MySpace *
3 – Cascades (11:03) * MySpace *
4 – Willow’s Hope (06:57)
5 – Revelations (09:56)
6 – Of Darkness (10:08)
7 – Broken (14:00)