Recensione: Revelations of the Black Flame
Dopo Liberation (2003), Beyond The Apocalypse (2004) ed Hellfire (2005), è ora il turno del quarto full-lenght per norvegesi 1349: Revelations Of The Black Flame.
A partire dall’anno di formazione, il 1997, sono stati numerosi e continui i cambi di line-up, che hanno portato la band ad avere attualmente la formazione seguente: Ravn (voce), Archaon (chitarre), Seidemann (bass) e Frost (also Satyricon, batteria).
Se si prende come ultimo riferimento “Hellfire”, che è un concentrato di velocità spasmodica, violenza esacerbata e furia scardinatrice, Revelations Of The Black Flame disarma sin dal primo ascolto per il totale cambio di proposta musicale che ha operato il combo norvegese.
Messe nel dimenticatoio le sfuriate apocalittiche che, alla fine, bene o male, caratterizzavano il sound dei 1349 in maniera sostanzialmente originale, ci si trova innanzi ad un lavoro che si addentra in maniera profonda nell’Ambient Black Metal, già territorio di conquista da parte di svariati progetti, anche datati (es.: Xastur, Coldword, Fauna, ecc.).
In sé, ciò non sarebbe un dramma, dato che fa parte della libertà ed indipendenza degli artisti scegliere la strada che più loro aggrada, se non che la proposta messa sul piatto è clamorosamente sciapa, anonima, povera ma, soprattutto, scarna.
Sono infatti poche le canzone intese nell’accezione classica del termine, che si perdono in una sorta di minestrone condito da effetti sonori, rumori, urla, campionature varie, che danno si all’opera una forte tinta oscura, ma che la rendono vacua e dispersiva.
Come scritto appena sopra, pochi i momenti degni di memoria: il mid-tempo pesante e massiccio di Serpentine Sibilance, nella quale a sprazzi si rievoca l’antica foga cinetica; il Black’n’Roll di Maggot Fetus…Teeth Like Thorns, comunque niente affatto originale; l’ipnotica Uncreation, forse l’elemento di maggior risalto dell’album, ove rispuntano qua e là echi di antica nobiltà e classe musicale.
Per il resto, Horns, Misanthropy, At the Gate… si risolvono in mere sequenze da film horror, tirando fuori dal mazzo Invocation, se non altro per l’intensità emotiva del raggelante inizio, squarciato da urla inumane, e Solitude, che perlomeno rievoca una visione mentale appropriata al titolo.Incomprensibile la scelta di inserire una cover dei Pink Floyd (Set the Controls for the Heart of the Sun), che produce l’unico effetto di annoiare ulteriormente l’ascoltatore.
Alla fine, ci si ritrova fra le mani poco o niente, un album cioè misero per quanto riguarda la sostanza inerente le canzoni suonate con la strumentazione elettrica classica (chitarra, basso, batteria), poco originale per quanto riguarda i brani Ambient, pregni di idee già utilizzate o, peggio, abusate.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracklist:
1.Invocation 06:13
2.Serpentine Sibilance 04:35
3.Horns 03:04
4.Maggot Fetus…Teeth Like Thorns 03:46
5.Misanthropy 03:33
6.Uncreation 06:59
7.Set the Controls for the Heart of the Sun (Pink Floyd cover) 06:13
8.Solitude 03:38