Recensione: Revenant [EP]
I Membrance arrivano da Venezia. Invece di proporre qualcosa di barocco e rococò, preferiscono sciorinare death metal.
Death metal rozzo, grezzo, involuto. Dalle reminescenze arcaiche dei primi proto-tentativi di accelerazione risalente ai nastri degli Hellhammer di “Apocalyptic Raids” (1984) o a quelli dei Necrodeath di “The Shining Pentagram” (1985).
La band presenta la peculiarità di essere composta da due elementi maschili, Davide Lazzarini (Voce e basso) e Pietro Battiston (chitarra), e da due femminili, Samantha Zammattio (chitarra) ed Emma Collelli (batteria). Non che ciò sia indicativo di nulla, se non che il metal è sempre stato, soprattutto agli albori e soprattutto quello estremo, territorio di conquista (quasi) esclusiva da parte del sesso forte.
Considerazioni di costume a parte, i Membrance calcano la scena da quattro anni e, dalla nascita, hanno prodotto sin’ora un singolo, “Whitches’ Sabbath”, 2012; un demo, “Horror Vacui”, 2015; e un EP “Revenant”, 2015. Non male, per chi ha incrociato le armi da poco tempo.
Certo, l’ambiente e i mezzi a disposizioni sono tipici dell’ultra-underground, ma è proprio in questi ambiti che pulsa, si rimescola e si rinnova lo spirito primigenio che ha generato il death metal. In “Revenant”, quindi, non c’è alcun meccanismo evoluzionista tale da aggiungere qualcosa a quanto già espresso dai precursori del genere. Anzi. L’EP pare essere perfetto per un tuffo all’indietro nel tempo. Guarda caso, proprio a meta degli anni ’80, quando dal brodo primordiale il cui ingrediente fondamentale era il thrash, con punte di black (pure esso in fase di formazione), si potevano fiutare i putrescenti effluvi del nuovo genere: il death metal.
I Membrance elaborano le loro song con un metodo di scrittura ancora elementare, se non – a tratti – ingenuo. Ma si tratta di roba pura, di musica che nasce dal cuore per giungere sul supporto digitale senza alcun filtro, senza alcuna contaminazione. Testimonianza importantissima di passione che si possiede sin dalla nascita poiché incastrata nel DNA, e che per svilupparsi compiutamente abbisogna di tanta, tanta esperienza, sicurezza di esecuzione e, per chi ce l’ha, talento compositivo.
È chiaro che i ventuno minuti di “Revenant” non sono sufficienti a formulare un giudizio completo, tuttavia si può già estrarre la buona attitudine dei quattro ragazzi veneti, sicuramente improntata al rispetto della tradizione e alla fedeltà dell’ortodossia death metal. La strada da percorrere per avere la chance di un contratto discografico è ancora tanta, a parere di chi scrivere, poiché al prodotto Membrance manca, soprattutto, la piena sicurezza nei propri mezzi. Individuabile in uno stile ancora acerbo e non completamente definito.
Il solco è stato però tracciato, e questo è già un buon inizio.
Forza!
Daniele D’Adamo