Recensione: Reverence

Di Fabio Vellata - 27 Settembre 2024 - 17:29
Reverence
Band: SteelCity
Etichetta: Frontiers Music Srl
Genere: Hard Rock 
Anno: 2024
Nazione:
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72

Un disco dalla valutazione ambivalente questo terzo album degli americani Steelcity.
Nati per mano del chitarrista e compositore Mike Floros, gli Steelcity provengono dall’Ohio e fanno un sanissimo e blueseggiante hard rock venato di metallo.
Molto tradizionale: a volte quasi troppo.
Ed è proprio lì, il nocciolo della questione. Se infatti, “Reverence”, viene guardato sotto il profilo dell’energia, della veracità e della pura espressione “blues rock”, c’è da dirsi assolutamente soddisfatti.
L’incrocio tra Thin Lizzy, Tesla, primi Whitesnake, Waysted e Dokken da origine ad una serie di brani martellanti, con qualche discreta idea melodica ed una buona vitalità metallica. Insomma, niente male, considerando anche la bontà degli interpreti coinvolti. Primo fra tutti il singer Roy Cathey. Un’ugola potente e carnivora, a tratti vicina a quella di Greg Harges, meglio conosciuto come Lizzy Borden.
Se invece questa nuova uscita di casa Frontiers viene osservata dal punto di vista della freschezza che può odorare vagamente di “nuovo” o poco sentito, beh, il proverbiale castello crolla su se stesso immediatamente. E ci si perde per le strade di una consuetudine che sa di scontato e non regala particolari emozioni.
Nulla di eccitante che possa accendere fantasie fatte di estro e lampi di genio.

Dipende, in poche parole, da quello che si cerca.
Una routine tradizionale, fatta di una sostanza incardinata in uno stile ben conosciuto e senza sorprese, oppure una minima capacità di sorprendere, con la precisa volontà di uscire da schemi sin troppo noti per creare qualcosa di davvero personale. La scelta è duplice e si diffonde su brani come l’iniziale “Ain’t Dreamin’ Bout You” o “Hammer Fallin’”. Potenti tempi medi che pompano suoni amplificati ma non escono dalla consuetudine.
O le svisate torride di pezzi buoni per un raduno di biker come “Dizzy“, “B.A.N.K.” e “Midnight Dancer” (Lizzy Borden vicinissimi!), Tanta “ciccia” ma poca voglia di osare.
Per quanto, roba che dal vivo potrà funzionare senza problemi…
In mezzo a tanto classicume, qualche scintilla di improvvisa variazione sul tema consolidato arriva da “No Angel” e dalla conclusiva “The Journey“. Unici momenti in cui si esce per un attimo dai binari di un treno solidissimo ma estremamente compassato per dar vita a qualche minima idea meno prevedibile.

Per chiudere il cerchio, “Reverence” è, per certi versi, un ottimo disco, dal valore strumentale molto alto e con una solidità alquanto tangibile. Sostanzioso, corposo, dai suoni “grossi” e rombanti. Uniti ad una verve intepretativa notevole: inutile rimarcare la bravura di un cantante come Cathey, in effetti.
Tutto molto buono. Non fosse per quel sottile retrogusto di già sentito che rimane persistente anche dopo vari ascolti, facendo passare l’idea di avere per le mani una band che sin dal nome e dalla copertina non riesce a distinguersi più di tanto. Ed un cd del quale si capisce praticamente ogni dettaglio già dopo un paio di brani.

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