Recensione: Revolutions

Di Angelo D'Acunto - 19 Gennaio 2008 - 0:00
Revolutions
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Genere:
Anno: 2007
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65

Nati nell’anno 2000 e provenienti dalla Germania, i Liquid Horizon sono una Progressive Metal band con influenze che vanno ad accostarsi al sound di gruppi del calibro di Savatage, Dokken, Vanden Plas e Dream Theater. Dopo la pubblicazione dei due EP Restarting System e Zen Garden, datati rispettivamente 2001 e 2003, la band tedesca arriva alla pubblicazione del primo full-length Urban Legends, con il quale, riesce a guadagnarsi gli onori di partire in tour insieme ai Vanden Plas. Revolutions è il secondo full-length per il quartetto di Mannheim, un’opera divisa in dieci tracce che hanno come punti in comune guerra, rivoluzione e libertà, più una trilogia dedicata rivoluzione francese.

Anno 1918, ci troviamo durante lo svolgimento della parte finale del primo conflitto mondiale. A Kiel, nei pressi del mar baltico, alcuni equipaggi di marinai della flotta tedesca si rifiutano di prendere il mare; l’ammutinamento si estenderà rapidamente e riceverà anche il consenso della popolazione per concludersi con la caduta della monarchia in Germania. E’ da questi eventi che parte questa nuova creatura dei Liquid Horizon; lo stile del quartetto tedesco rimane immutato, continuando a calcare i territori del power-prog di stampo teutonico e mettendo da parte i tecnicismi e le complessità ritmiche che contraddistinguono il sound di gruppi più blasonati, per concentrarsi sull’immediato impatto sonoro fra riffing di matrice heavy ed insert sinfonici ad opera delle tastiere. L’inizio del disco è affidato all’intro Welcome To The Revolution (What you hold in your hands is a concept dedicated to the memory of revolutions and the struggle for freedom in the history of mankind… Welcome to the revolution!) che fa da preludio per la successiva Battle Entrance; traccia molto energica ed aggressiva con un netto sapore power. In forte risalto sopratutto la voce del singer Oliver Kilthau, con un cantato aggressivo che viene accompagnato egregiamente dalle ritmiche furiose delle chitarre e dagli insert melodici ad opera delle tastiere.
Con la seconda traccia Sacred Ground, si torna ancora più indietro nel tempo, precisamente nel 1874; il protagonista è Geronimo, leader degli Apache tribe, nonché il primo capo degli indiani d’america. In questo caso, i ritmi si fanno meno sostenuti, le tracce si reggono prevalentemente su mid-tempos, con l’aggiunta di un ritornello semplice e melodico che si stampa subito in mente.
Si continua ad andare a ritroso nel tempo con la successiva Freedom; ci troviamo nell’antica Roma, e il protagonista è Spartacus, gladiatore romano che capeggiò una rivolta di schiavi, la più impegnativa delle guerre servili che Roma dovette affrontare. Anche questo brano continua sulla stessa linea tracciata dalla precedente, ma dedicando maggiore attenzione all’aggressività per quanto riguarda la voce e alle melodie ad opera delle chitarre, per poi rallentare e concedersi ad attimi più riflessivi guidati dagli inserimenti di pianoforte ad opera del tastierista Michael Heck.
Giugno 1942, siamo in Germania, protagonista è la White Rose; gruppo di ribelli tedeschi che si oppongono al regime nazista: è da qui che nasce il testo di Resistance, traccia molto ossessiva e melodica, ma che nonostante tutto ciò risulta poco incisiva e priva di mordente, quasi come se l’energia del quartetto tedesco si fosse esaurita in tutti i brani precedenti.
Sul disco c’è anche posto per una ballad; Sacrifice, pezzo dedicato Georg Elser, il quale tentò di assassinare Hitler nel 1939. In questo caso, il tutto viene guidato da delicati arpeggi di chitarra, capaci di far passare in secondo piano le orchestrazioni e di rendere l’atmosfera leggera e raffinata, per poi raggiungere l’apice con un refrain semplice e melodico.
Le successive The King, Revolution e System Of Terror, compongono la trilogia dedicata alla rivoluzione francese. Tutte e tre le tracce proseguono su quelli che sono i segni distintivi del sound dei Liquid Horizon; velocità e riffing violenti strutturati in modo pressoché semplice, che si vanno ad alternare con attimi più riflessivi guidati dagli arpeggi in acustico ad opera delle chitarre. Tracce che alla fin fine risultano essere troppo banali e scontate, e che quindi vanno ad abbassare di netto la qualità media dell’intera produzione.
L’atto finale del disco è ad opera della conclusiva Last Stand, traccia dedicata alla dichiarazione d’indipendenza degli stati uniti d’america; seconda ballad del disco, introdotta da un tappeto di tastiere che accompagnano con eleganza la voce di Oliver per poi lasciar spazio, in un secondo momento, all’ingresso delle chitarre e di tutti gli altri strumenti.

In definitiva, questo secondo capitolo targato Liquid Horizon risulta essere un lavoro dotato di un songwriting d’alti livelli ma che lascia un po’ a desiderare dal punto di vista dell’esecuzione ad opera della band. Le capacità tecniche dei singoli elementi ci sono, manca solo una dose di originalità in più per quanto riguarda la fase di composizione. Le premesse per il futuro ci sono tutte, staremo a vedere se saranno capaci di andare oltre quelli che sono gli standard del genere.

Angelo ‘KK’ D’Acunto

Tracklist:

01 Welcome To The Revolution
02 Battle Entrance
03 Sacred Ground
04 Freedom
05 Resistance
06 Sacrifice
07 The King
08 Revolution
09 System Of Terror
10 Last Stand

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