Recensione: rEVOLVEr
Ci sono voluti 4 dischi, ma finalmente anche i The Haunted hanno dato
vita al loro capolavoro! Volete impatto, carica, ritmi spezzacollo e freschezza
compositiva? Ecco che con rEVOLVEr gli svedesi se ne escono con
una grande miscela di tutto questo, con un disco che finalmente possiede luce
propria e mette d’accordo tutti.
La discografia del gruppo capeggiato dai fratelli Björler e dal
principale songwriter, il chitarrista Patrik Jensen, si fa avanti senza
più le timidezze, le incertezze di un sound che era stufo di sentirsi definire “figlio
degli At The Gates” (e chi non sa quale sia il legame tra le 2 bands è
bene che si faccia un ripassino): ora l’impronta è nettamente meno swedish,
rispetto a dischi come The Haunted Made Me Do It e One Kill Wonder
e più vicina all’hardcore, complice anche il ritorno del primo cantante Peter Dolving.
Proprio il singer è il vero valore aggiunto del gruppo, se è vero che grazie a
lui le composizioni già ottime presenti sul disco diventano semplicemente
perfette, grazie alla sua eclettica capacità di variare il timbro vocale
seguendo alla grande il feeling del brano; da lamentosa a urlata, da melodica ad
acida, la sua voce è forse lo “strumento” più elastico del gruppo,
capace di interpretare al meglio i sentimenti (e non sono pochi, ma non pensate
a quelle cose romantiche atte a far vendere cioccolatini e rose) di una persona
che urla “Shut your fucking mouth.You don’t know a single thing about
me!”.
Capitoli come questo (All against all, ruvidissima) si
alternano alla pura potenza della gran parte dei brani, dalla prima No
Compromise, a Who Will Decide, ad Abysmal
(che gioca su alternanze di atmosfere forse slayeriane per certi versi,
sicuramente vicine all’ultimo The Great Deceiver, altro gruppo da
rivalutare). Ma i picchi si toccano ovviamente con le particolarità, cui il
resto della tracklist fa da base: 99, l’hit single del disco, con
la sua carica core ed il riff da headbanging selvaggio; e Burnt to a Shell,
dove Dolving si fa ancora più versatile, e con una voce dal raro cinismo
intesse un ritornello impossibile da scacciare dalla mente. Visioni urbane,
ruggine, atmosfere metropolitane sono quelle che troverete nei solchi (minaturizzati)
di questo album, minimalismo grafico è invece quello che ci appare
nell’immediato: un abbinamento perfettamente amalgamato, insano ma
irrimediabilmente accattivante, come le perle del metal estremo ci hanno
insegnato. Non è un caso che questo disco piaccia a molti “gods” del
thrash anni ’80 (e che da essi venga pubblicamente lodato), anche se dal thrash
si discosta molto, per certi versi.
Forse però nessuno era riuscito, negli ultimi anni, a dare forma concreta alle visioni che ispiravano i gruppi di quella corrente, e che ci vengono
trasmessi qui in aspetto diverso ma concettualmente identico. Un album da
ascoltare e riascoltare, e da mettere alla prova dal vivo; un album ottimo per
lo stereo di casa come per l’automobile, con la differenza che con quest’ultima
vi dovrete tutelare per evitare di farvi coinvolgere troppo. Tra le vette di
questo ormai senescente 2004.
Alberto “Hellbound” Fittarelli
Tracklist:
1. No Compromise
2. 99
3. Abysmal
4. Sabotage
5. All Against All
6. Sweet Relief
7. Burnt To A Shell
8. Who Will Decide
9. Nothing Right
10. Liquid Burns
11. My Shadow