Recensione: Ribcrasher
Da alcuni giorni è in vendita il primogenito della famiglia On-Off, giovane e agguerrita formazione lombarda, nata inizialmente come “AC-DC tribute band”, ma che recentemente ha deciso di uscire allo scoperto con questo album dal titolo “Ribcrasher”.
La copertina ritrae una schiacciasassi che rappresenta, in maniera piuttosto eloquente, il genere musicale proposto dalla band.
“We got a dirty riff to play”: questo verso racchiude in sé, forse meglio di ogni altro, il contenuto e l’essenza della title-track, RIBCRASHER, nonché – addirittura – dell’intero album. Con la prima traccia si esce subito allo scoperto: chitarra e batteria che esordiscono con decisione sparata, facendo da apripista per il cantato, giusto per non creare equivoci: “The drums pulse in my head, I’ve got shivers down my spine! Tonight I just wanna bang my head”. Il ritmo è martellante, incisivo e cadenzato, fino al momento del guitar-solo che evidenzia una timbrica di “angusiana” memoria, per poi ripartire, sempre nel segno del ritmo puro, sulla falsariga iniziale. Un ottimo esordio!
ROCKIN’ BLOOD è un’ulteriore rivelazione delle origini: un pezzo tipicamente AC-DC del primo periodo, che si regge su una trama chitarristica solida e semplice e su un drumming alquanto lineare. Si presenta di facile ascolto, con il ritornello “I’ve got the rockin’ blood” che introduce l’assolo centrale, e quel riff pungente che continua fino alla chiusura, in crescendo. Un altro “dirty riff” che si stampa nella mente!
Con IT’S HARD TO BREAK ME siamo sempre inquadrati, storicamente, nell’era “maledetta” di Bon Scott: anche qui la costruzione risulta semplice e immediata, con la linea melodica che ti entra subito nelle vene e ti fa “sentire a casa”. Mi riferisco alla presenza di tutti quei tipici elementi (struttura, impostazione ritmica, tipo di sonorità) che caratterizzano il genere, così caro ai fedelissimi della Angus’ family.
Il riffone iniziale di NASTY RHYTHM ricorda un po’ la celeberrima “Riff Raff” dei Maestri. Nel suo prosieguo il brano assume, però, una connotazione propria, i cui tratti distintivi sono costituiti da una grande agilità e un sound familiare. La possente rullata di batteria precede un guitar-solo pirotecnico, mentre la ritmica ti prende letteralmente a calci spingendoti a saltare.
COM’ON BABY si apre con un’ouverture pomposa, pesante ma orecchiabile, sempre in linea con la rocciosa tradizione Hard. Le parti vocali sono piuttosto impegnative ma comunque ben gestite, e il lavoro chitarristico regge alla grande tutta la canzone, fino al momento dell’assolo, smaccatamente Hard Rock e tirato, con una breve pausa arpeggiata e melodica nel mezzo.
I’M A SHOOTER è un altro pezzo “AC-DC oriented”, dal testo sbarazzino e simpatico e dal ritornello facile, che ti entra nelle orecchie e scorre nel sangue, spinto da un assolo molto incisivo e gustoso che ti accompagna fino alla brusca chiusura.
La peculiarità di SEVEN sta nel fatto che questa traccia potrebbe costituire la degna colonna sonora di uno “street-movie”, grazie al sound e al ritmo trascinante; la miscela vincente è data da indovinatissimi interventi chitarristici, graffianti, grintosi e penetranti, nonché da una coinvolgente performance vocale.
I DON’T BITE si pone anch’esso su un piano di originalità, rispetto agli altri brani, per la sua particolare struttura, fatta di agili stacchi di ispirazione zeppeliniana e sorretta da una robusta base ritmica: si potrebbe definire senza alcuna esagerazione un’entusiasmante cavalcata Rock and Roll.
STEAMROLLER BLUES si presenta come uno dei momenti più significativi del disco, mostrando incisività e “peso specifico” notevoli. Aspro e senza tanti fronzoli, il pezzo si fa apprezzare per il suo spessore e per la sua essenzialità, ma soprattutto per il suo groove, assai emozionale e di presa immediata.
Eccoci arrivati all’ultimo capitolo: LET ME PLAY MY STUFF, a modesto parere di chi scrive, rappresenta l’episodio migliore dell’album, per l’entusiasmo che riesce a trasmettere con ogni sua nota. L’armonica di Davide Speranza si intreccia con la sei corde di Matteo Vago, scambiandosi l’iniziativa in un duetto fatto di spericolati saliscendi, di scale armoniche veloci e spensierate, comunque frutto di grande tecnica esecutiva. “Baby, I wanna play. Let me play my stuff. I don’t care what you think about.”
La frase finale riassume in sé lo spirito della canzone, nonché tutta l’essenza da cui trae ispirazione il lavoro della band: “attacchiamo gli strumenti agli ampli, e via. Lasciateci suonare la nostra musica, non chiediamo altro!”
Riassumendo in breve: Ribcrasher è senza dubbio un disco ben fatto, che fiorisce in un territorio dove non c’è più nulla da scoprire o da inventare, ma che sa farsi apprezzare per freschezza e sano entusiasmo. La semplicità e l’immediatezza, come sottolineato nella precedente analisi, sono i suoi punti di forza. Volendo trovare a tutti i costi un paio di punti deboli, si potrebbe dire che una maggiore “ricchezza” delle parti di batteria non avrebbe stonato, in alcuni pezzi, e che una voce più sporca, più ruvida, insomma più “urlata”, avrebbe forse conferito un tono più “dannato” e più “Hard” al prodotto, in linea con la tipologia di sound. Peraltro va dato atto a Matteo vago, neo-vocalist in erba dalla voce pulita, di aver saputo districarsi con eccellente resa nelle difficoltà canore in cui ha inteso cimentarsi. Complimenti sinceri a lui, dunque, e complimenti anche ai suoi compagni di avventura, con l’auspicio di veder rotolare su tanti palchi il rullo della schiacciasassi di marca On-Off.
Tracklist:
1. RIBCRASHER
2. ROCKIN’ BLOOD
3. IT’S HARD TO BREAK ME
4. NASTY RHYTHM
5. COM’ON BABY
6. I’M A SHOOTER
7. SEVEN
8. I DON’T BITE
9. STEAMROLLER BLUES
10. LET ME PLAY MY STUFF
Line-up:
– Matteo Vago: vocals – guitar
– Fabio Lazzarin: bass
– Davide Battistella: guitar
– Samuele Squaiella: drums