Recensione: Rich Man’s War… Poor Man’s Fight
Con i tempi che corrono, non è facile per una band emergente distinguersi dall’anonimato con una proposta fresca, originale, che sappia cogliere l’attenzione del pubblico (e, impresa ancor più ardua, degli addetti ai lavori) senza risultare un’improbabile mistura di stili e suoni recuperati qua e là e buttati di gran fretta nella mischia, con la sola intenzione di stupire. Preso atto che tutto – o quasi – è già stato scritto, l’evoluzione del genere si nutre necessariamente di esperimenti e tentativi di trovare nuove combinazioni vincenti, con il consapevole rischio di partorire opere d’arte con la stessa probabilità di aborti mancati.
Gli Herod ci provano con un sound di chiara matrice heavy metal, che si concede tuttavia frequenti escursioni su territori thrash, power e perfino hard rock. Tale bizzarra quanto appetitosa ricetta ha permesso al quintetto di Buffalo (NY, USA) di arrivare alla terza release nel giro di un lustro, dall’emblematico titolo Rich Man’s War… Poor Man’s Fight; un lavoro che, dopo i buoni riscontri casalinghi ottenuti dal predecessore For Whom The Gods Would Destroy (che ha registrato il debutto per la Lifeforce Records), si prefigge prima di tutto l’obiettivo di conquistare il mercato europeo, finora piuttosto indifferente all’offerta dei Nostri.
Bersaglio mancato. Nonostante i buoni propositi e il coraggio (o la follia?) nel battere strade nuove, la musica degli Herod si perde in una trama di soluzioni inconcludenti e francamente inopportune, al punto da rendere più che difficile la ricerca di un’identità comune in ogni composizione. Le idee buone non mancano (il giro melodico di Assimilation, il ritornello di One Life To Burn, la conclusiva Journey Of Creation), ma sono oscurate dalla generale mediocrità che affligge il songwriting, orientato a mascherare con pioggia di elementi una certa povertà di contenuti; la band si trova decisamente più a suo agio quando non tenta di strafare (The Fire, Grand Design), limitandosi tuttavia a un compitino che ha il sapore di già sentito e non riserva particolari emozioni. Né si registrano acuti degni di nota da parte dei cinque musicisti, se non quelli – decisamente imbarazzanti – del cantante Jason Russo, che in accordo alla variegata tracklist si cimenta con i più svariati registri; i risultati sono piuttosto altalenanti (con un picco negativo nella terrificante ballad Forever) e pregiudicano nel complesso l’operato del gruppo, che mostra peraltro una discreta affidabilità con lo strumento.
Tirando le somme, non è difficile prevedere che il tanto ambito trionfo discografico (e già millantato in patria) si rivelerà ancora una volta un miraggio. Rich Man’s War… Poor Man’s Fight vuole essere un crocevia ambizioso e spumeggiante, ma si rivela fragile nell’intelaiatura dei pezzi, nonché avaro di passaggi sopra la media. Il che è sufficiente, a modesto parere del sottoscritto, per lasciare i soldi nel portafoglio, in attesa di investimenti proficui.
Federico ‘Immanitas’ Mahmoud
Tracklist:
01 Assimilation
02 All Night
03 One Life To Burn
04 Lies And Betrayal
05 The Fire
06 Broken Promises
07 Forever
08 The Ring
09 Grand Design
10 Journey Of Creation