Recensione: Ride to Nowhere
Nel Regno Unito gli Inglorious stanno vivendo un successo straordinario. Due anni fa, il loro secondo album si piazzò diretto al numero uno della Rock Chart e Nathan James è ormai un personaggio notissimo: non deve stupire, dunque, che ci sia grande attesa per questo Ride to Nowhere, per produrre il quale la band ha addirittura chiamato Kevin Shirley: insomma, uno che nel CV può inserire i Led Zeppelin.
E Ride to Nowhere non delude. Diciamolo subito: è un gran bel disco, uno di quelli che a gennaio già prenotano un posto nella top 10 dell’anno. La scrittura dei pezzi è di ottimo livello, giocando intorno alle variazioni concesse dall’hard rock sanguigno, caldo e settantiano di cui gli Inglorious sono al momento (tra) i migliori esponenti.
I detrattori non lesineranno le usuali critiche, rivolte più al genere che non alla band che lo propone: non c’è originalità, tutto è già sentito, gli Whitesnake hanno suonato la nota definitiva… Il recensore non può esimersi dall’annuire, un poco sconsolato, ma s’incaponisce a ricordare come il metro dell’originalità non sia quello adatto a misurare gli Inglorious, che sanno e vogliono essere derivativi: ma riescono, quasi paradossalmente, ad essere originali e distintivi, in virtù di una personalità scritturale ed esecutiva di altissima levatura.
L’hard rock scaturisce felice dai solchi di Ride to Nowhere, lieto d’aver trovato degli interpreti degni di questo nome. Sì epigoni di Whitesnake, Led Zeppelin e Deep Purple, ma figli prodighi, freschi e credibili: ciò che, ahimè, molti dei grandi ormai non sono più, o non lo saranno a breve.
Le bombe ci sono: il singolo Where Are You Now? ha un gran tiro grazie a una prestazione maiuscola di James e un riffing che non è altro che hard rock. Freak Show, Never Alone e Tomorrow non mollano il colpo, regalando sapienti melodie che hanno nel groove ben prodotto il proprio marchio di credibilità e, pur non discostandosi dalla tradizione del genere, riescono ad affermarsi e risultare eccellenti pezzi.
Se Queen e Liar sono buone canzoni hard rock che la voce di James valorizza ed eleva notevolmente, Time To Go è uno dei picchi del disco grazie a un giro di chitarra talmente canonico quanto piacevole: qui la produzione fa il proprio dovere, riuscendo a trasformare un buon pezzo in una ottima prova, che, se possibile, strizza l’occhio a Coverdale più che altrove. Ma ecco che proprio quando si pensa di aver raggiunto la massima coverdalizzazione arriva I Don’t Know, dove Nathan James si traveste da serpente bianco, si teletrasporta nel 1978 e canta alla grandissima un mid tempo dal groove straordinario che non potrà non piacere a tutti.
While She Sleeps riprende il ritmo e apre degnamente la strada alla title track, che è una canzone validissima, capace di essere cangiante in un crescendo ritmico e melodico che conduce a un ritornello semplice e pieno di dinamica. Sarà un successo dal vivo.
Infine, Glory Days è una bella ballad acustica che una prova letteralmente pazzesca di Nathan James illumina, trasformandola in ottima e concludendo degnamente Ride to Nowhere.
Insomma, non siamo davanti a Ready an’ Willing: ma dobbiamo imputarlo ai tempi derivativi che viviamo. Gli Inglorious si trovano a raccogliere i frutti di giganti irreplicabili: lo fanno nel miglior modo possibile nel 2019. Possiamo esserne felici. Ascoltate Ride to Nowhere senza indugio e andate a godervi la band dal vivo: credo proprio che sarà una grande esperienza.