Recensione: Rise

Di Fabio Vellata - 21 Dicembre 2010 - 0:00
Rise
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Anno: 2010
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72

Emerge ancora dall’underground italico, una nuova proposta dedita ai suoni tradizionali e calorosi dell’hard rock d’antiche origini. Con il nome di “F.E.A.S.T.”, facciamo la conoscenza del polistrumentista e compositore Fabri Kiareli, per quella che potremmo definire scherzosamente, una nuova puntata della serie “i talenti della New Wave Of Italian Melodic Rock”.

Attratto sin dalla tenera età dai suoni del rock classico e con una predilezione particolare per gli Who di “Pinball Wizard”, Kiareli è cresciuto ascoltando assiduamente quelli che sono poi divenuti, qualche anno più tardi, alcuni dei capisaldi della scena hard mondiale. White Lion, Ratt, Van Halen e Dokken – ai quali, pare corretto aggiungere i soliti Whitesnake, elementi dei Krokus ed un po’ di Thin Lizzy – costituiscono per i Feast qualcosa più che semplici ed abbozzati paragoni di riferimento: la loro influenza è, infatti, tale da rappresentare un’autentica e specifica “ossatura” stilistica, identificata da continui e precisi rimandi reperibili con estrema immediatezza sin dal primo distratto approccio al debut album “Rise”.
Fonti d’ispirazione che, in tutta onestà, non smetteremo mai d’apprezzare e che, pur filtrate da differenti esperienze e dal tocco personale d’ogni artista, finiscono sempre per fornire le basi a qualcosa di quanto meno interessante e pregevole, anche quando, come in questo specifico caso, buonissima volontà e discreto talento, non sono del tutto sufficienti a far volare l’album oltre un esito indiscutibilmente buono ma lontano da picchi artistici davvero superiori.

Molto godibile a livello strumentale, l’opera prima di Fabri Kiareli – che ricordiamo tra l’altro, essere stato membro della band di Pino Scotto e turnista per numerosi artisti della canzone pop italiana – e dei suoi Feast, fornisce lungo la corposa tracklist proposta (oltre settanta minuti), notevoli quantità degli elementi tipici e fondamentali del rock duro e diretto, concentrando nel trinomio “energia, passione e sincerità”, la gran parte della propria essenza. Non mancano, ad ogni modo, forti iniezioni melodiche, in ossequio come detto, ad un’affinità dichiarata con il songwriting classico, che proprio nelle buone armonie identifica uno dei maggiori punti di forza.
Il disco sembra tuttavia di quando in quando difettare di un minimo di varietà e dinamismo, appiattendosi troppo spesso in una formula priva di sorprese e grossi sussulti, destinata – complice anche l’eccessiva reiterazione delle strofe riscontrabile in alcuni evitabili filler – a far scemare l’attenzione dell’ascoltatore.
Una mancanza di fluidità e scorrevolezza che si manifesta ad esempio in una coppia di canzoni come “Dangerous Love” e “Win Or Lose”. Facile innamorarsi a prima vista dell’incedere ai limiti del class metal, pronto ad elargire massicci quantitativi di watt e potenti dosi di schietta urgenza rock, ma altrettanto rapido, il lasciarsi poi andare a qualche sbadiglio una volta addentrati nel profondo dei brani, non proprio memorabili ed un po’ aridi d’emozioni.

Molto più riusciti sono del resto i pezzi che, crediamo non a caso, compongono la prima parte del disco: l’opener “Fire And Dynamite” e le successive “Feed The Hunger” e “Love Renegade” sono piacevoli mazzate hard n’heavy che alimentano fiammanti immagini “borchiate” di antica provenienza ottantiana, forse non fornite di colpi di genio particolari, ma davvero efficaci e molto ben suonate (Kiareli va detto, è un ottimo chitarrista).
La voce dell’onnipresente Ale Del Vecchio emerge quindi nella più melodica “Follow The Way”, mentre è con il lento Thinlizziano “Cold Hearted” che i Feast mettono a segno il colpo migliore del disco, presentando una canzone dotata questa volta non solo di grande passione per il rock ed alti valori strumentali, ma ugualmente fornita di importante classe e notevole eleganza, avvolgente nei morbidi toni notturni e capace di lasciar trasparire una sensibilità per la ricerca melodica, altrove lasciata troppo spesso in secondo piano.

Ultima opinione personale, “Rise” avrebbe forse tratto qualche beneficio dall’inserimento in line up di un singer di “professione”, dotato di maggiore estensione ed espressività rispetto al pur volonteroso Farbi Kiareli. Generoso interprete ed eccellente musicista, il leader dei Feast non ha probabilmente nella voce la propria arma migliore, apparendo troppo spesso una sorta di Marc Storace con minore personalità e carisma.

In definitiva un disco interessante, che nelle vesti di debutto, assume tutti i connotati necessari nel presentarsi come una bene augurante base di partenza.
Le doti strumentali e tecniche abbondano: con un songwriting meno “incatenato” ed un po’ più di voglia di tentare cose meno derivative, anche Fabri Kiareli ed i suoi Feast potranno scovare la via maestra per emergere, portando ulteriore lustro e prestigio alla sempre più attiva scena rock tricolore.

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Tracklist:

01.    Fire And Dynamite
02.    Feed The Hunger
03.    Love Renegade
04.    Dangerous Love
05.    Follow The Way (Con Alessandro Del Vecchio)
06.    Cold Hearted
07.    (Ain’t Done) ‘Til It’s Over
08.    Win Or Lose
09.    Stormwind
10.    Broken Dreams
11.    Shock Me
12.    Burning Fever
13.    The Meaning Of Life

Line Up:

Fabri Kiareli – Voce / Chitarra / Basso / Tastiere
Luke Ballabio – Chitarra
Mao Granata – Batteria

Alessandro Del Vecchio – Voce
 

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