Recensione: Rise Of The Damnation Army – UWR: Chapter Two

Di Stefano Burini - 7 Agosto 2014 - 0:12
Rise Of The Damnation Army – UWR: Chapter Two
Band: Skid Row
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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65

Dopo un EP più che buono quale “United World Rebellion – Chapter  One” (e ferme restando le perplessità legate alla “formula”, con la quale i rocker americani hanno previsto la pubblicazione di una serie di mini in un luogo di un unico LP, NdR), poteva apparire del tutto lecito attendersi un sequel all’altezza. Eppure, al netto di un tiro assolutamente devastante dal punto di vista strumentale (caratteristica positiva che non viene  meno neppure negli episodi meno ispirati), “Rise Of The Damnation Army – United World Rebellion: Chapter Two” perde in maniera piuttosto netta il confronto con il predecessore.
 
I due pezzi posti in apertura, la trascinante “We Are The Damned” e la classicissima “Give It The Gun”, lasciano ben sperare mettendo sul piatto della bilancia riff e spunti melodici efficaci e decisamente in linea con la tradizione di casa Skid Row. Le prime crepe si palesano, tuttavia, con la successiva ballata “Catch Your Fall”, parecchio sottotono e afflitta da una melodia molto poco scorrevole (se non addirittura faticosa), per poi essere confermate dalla punkeggiante “Damnation Army”, non deficitaria ma priva di guizzi realmente vincenti. Per tornare ai fasti delle prime due tracce in scaletta bisogna attendere la successiva “Zero Day”: nulla di realmente eccezionale ma un buon pezzo hard rock con il marchio degli Skidz impresso a fuoco nelle melodie vocali e nel riffing.
 
Infine, le ben due cover/bonus track poste in chiusura, “Sheer Heart Attack” dei Queen e “Rats In The Cellar” degli Aerosmith: pur ben eseguite (e ci mancherebbe!) e certamente piacevoli all’ascolto (in particolare la prima) non paiono, onestamente, avere alcuna reale funzione pratica se non quella di aumentare il minutaggio. Luci ed ombre, insomma, per una band certamente lontana dalla scarsa forma dei tempi peggiori (come testimoniano le vivaci prestazioni di Sabo, Hill, Bolan ed Hammersmith, con forse il solo Solinger un po’ al di sotto delle aspettative), eppur rea di un passo indietro rispetto ai fasti dell’immediato predecessore. Giusto sperare in meglio per il terzo e ultimo capitolo.

Stefano Burini

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