Recensione: Rise Up
Con i Later Sons scivoliamo nell’underground profondo. Quello popolato da tante band spesso sconosciute e poco prese in considerazione. Di solito destinate a rimanere ignote al grande pubblico. Tanto più quando il genere che offrono non è di certo tra quelli considerati ad alta diffusione.
Il gruppo, nato dalla rinnovata collaborazione tra Thorsten Bertermann e Torsten Landsberger, (già assieme nei Lioncage e con tre album all’attivo tra il 2015 ed il 2018), mantiene la rotta di un rock assai melodico e venato di AOR. Un po’ – per chi li ha conosciuti – come accadeva nella stessa band da cui i due fondatori provengono. Oppure, per cercare qualche paragone più illustre, una miscela di hard rock non troppo spigoloso appartenuta già ai conterranei Bonfire e Jaded Heart.
Nulla di particolarmente innovativo insomma. Del resto, per loro stessa ammissione, i Later Sons si definiscono alle prese con un viaggio a ritroso nel tempo che va a ricollegarsi con i soliti, favoleggiati, anni ottanta. La radice primitiva cui non si cessa mai di tributare omaggio con riferimenti e connessioni stilistiche.
Che i musicisti coinvolti sappiano ampiamente destreggiarsi a cavallo della materia è ben evidente. Ne offrono dettaglio circostanziato una serie di brani al riparo da grossolane crepe nella qualità dei suoni e delle esecuzioni. C’è professionalità, a partire dalla singolare ed insolita copertina, con questo strano autobus alato che svolazza in mezzo alle nuvole.
La quale, tocca ammetterlo, è stata il “gancio” che ha suscitato la nostra curiosità inducendo ad ascoltare poi l’album.
Altro paio di maniche quando si va invece alla ricerca di inventiva e colpi di genio. Il panorama musicale dei Later Sons è fatto di una sostanza piuttosto semplice e di maniera, che non regala particolari intuizioni ne un songwriting fantasioso e variegato.
Non c’è in pratica, nulla che possa far pensare d’essersi imbattuti in un prodotto che possa andare oltre una composta e meritata “sufficienza” ottenuta con onore, ma senza eccellere.
“Rise Up” è un disco che si ascolta abbastanza bene. Tuttavia si rivela privo di grossi sussulti, ed è destinato nel medio periodo – complice pure la presenza di qualche filler – a scorrere distrattamente senza piazzare nulla di memorabile che possa farlo davvero ricordare nel tempo.
La stessa voce di Bertermann, va detto, sembra essere un po’ appannata rispetto al buon periodo di forma sperimentato qualche anno fa con i già citati Lioncage.
Il campionato è agli albori: se volessimo dare una definizione calcistica a questa prima uscita dei Later Sons, parleremmo di un team destinato a lottare in centro classifica. La retrocessione è materia per compagini meno attrezzate ed esperte, ma senza innesti di qualità (in questo caso, un songwriting che sappia creare qualcosa di più incisivo), le ambizioni sono destinate a rimanere davvero pochine…