Recensione: Rises (Reissue 2024)
Per promuovere il loro prossimo tour insieme ai canadesi Thunderor, che partirà il primo maggio dal Putzer Bikerfest di Natz-Schabs (BZ) e si svilupperà nel Nord Europa per concludersi 12 giorni dopo al Meskio Bar di Caneva (PN), i triestini Tytus rimettono in circolo l’album con cui hanno debuttato: ‘Rises’ del 2016.
La nuova ristampa, distribuita nel formato CD da Kornacielo Records, vede una rimasterizzazione delle tracce ed una nuova veste grafica, con una cover che riprende, come disegno, l’originale (il sole che, trasformandosi in una gigante stella rossa, mette fine alla vita sulla terra distruggendo anche i simboli dell’uomo, in questo caso una chiesa) incupendola ulteriormente con tonalità e sfondi più scuri.
Per il resto, nessun’altra modifica: stessa scaletta e nessun brano extra.
‘Rises’ è un buon concentrato di True Metal, sulla scia delle produzioni di band come White Wizzard, Enforcer e Steelwing che, nell’ultima parte della prima decade del nuovo millennio (frase contortissima per dire tra il 2008 ed il 2010) hanno voluto mettersi in gioco ritornando alle sonorità antiche tipiche della NWOBHM.
Nel 2010 prendere una strada del genere era rischioso, nel 2016 un po’ meno, con i vari generi che coesistono un po’ tutti e con meno settorizzazione rispetto al passato, per cui, per emergere tra molti, bisogna puntare, soprattutto, sulla qualità.
La qualità, in ‘Rises’ c’è, con dieci pezzi dal buon tiro, carichi della giusta adrenalina ma anche densi di una peculiare energia scura che ci prende e ci trasporta sul mondo che sta scomparendo della copertina.
Tutto, intorno a noi, diventa cupo ed il suono della morte s’insinua tra le varie storie che raccontano i brani. Facendo qualche esempio: ‘Ode to the Mighty’ è un intro tra il fantascientifico e lo spettarle, con una preghiera che evoca la paura del momento, ‘Land of the New Frontier’ è epica, si avverte la resistenza di chi vuole uscire dalle tenebre, ‘Haunted’ è dinamica e serrata, la ribellione, in ‘325 A.D.’ (che vede la partecipazione di Will Warner dei White Wizard e di Conny Ochs) tutto è desolazione ed angoscia, ‘Desperate Hope’ è una feroce cavalcata d’assalto. Su tutte le canzoni, per quanto varie, aleggia un’atmosfera pesante e mefitica, da apocalisse, manca la luce … il destino avverso è segnato fin dal principio … con la sua nascita il sole ha stabilito anche la sua morte, di conseguenza anche la nostra … non c’è speranza.
Questo è quello che si percepisce ascoltando il disco, dominato da riff granitici e da dinamiche armonie di chitarre, alla Iron Maiden e Thin Lizzy, che s’intrecciano con duttili linee melodiche, alla Def Leppard, ma anche più moderne, generate da strofe e refrain orecchiabili cantati con voce teatrale senza mai esagerazioni e con momenti quasi psichedelici ed onirici, il sogno che può diventare incubo e che si distacca dalla trama principale della canzone, come la sequenza simil-jazzata in ‘White Lines’ od il clima pesante che genera ‘Omnia Sunt Communia’.
Menzione speciale per la conclusiva ‘Blues of the Verge of Apocalypse’, strumentale calma e allucinogena per chitarra classica e organo alla Ray Manzarek (il tastierista dei Doors, per chi non lo sapesse, purtroppo deceduto nel 2013) che ci fa veramente sentire soli in mezzo al nulla.
Insomma, i Tytus degli esordi non inventano nulla, ma riescono a dare al loro sound un buon tocco personale, che cerca di distaccarsi dai tanti stereotipi in cui si rischia di cadere se si suona questo tipo di Metal così fortemente agganciato al passato.
Dopo ‘Rises’, nel 2019 è uscito ‘Rain After Drought’ e, nel 2023, l’EP ‘Roaming in Despair’ … ora questo tour e poi … aspettiamo con vera curiosità.