Recensione: Ritual
Gli Edge of Forever sono una sicurezza ormai consolidata.
Divenuto una realtà davvero importante ed angolare nella carriera dell’ottimo Alessandro Del Vecchio, il gruppo italiano centra il terzo album nell’arco di una manciata d’anni, mandando a referto un altro ottimo esempio di rock melodico ricco di innumerevoli sfumature e tocchi ricercati.
Con una storia emblematica e sempre significativa da raccontare, il percorso indicato da Del Vecchio e dai suoi sodali amplia le influenze intuibili già dal precedente “Seminole“, arrivando a toccare evidenti sfumature prog metal. Una maturazione costante nei suoni, nelle trame e negli stratagemmi utilizzati per costruire i brani che pone in risalto la crescita personale di un artista che, checché se ne possa dire, mostra un talento smisurato e poderoso in ogni direzione.
Si accennava alla storia. Un affascinante, malinconico e potente racconto che nuovamente va ad accarezzare l’immaginario dei nativi americani, ponendo in primo piano l’importanza del mantenere con fierezza ed orgoglio la propria identità più intima e profonda. L’ennesimo sguardo verso una cultura antica che già aveva animato i precedenti “Seminole” e “Native Soul“, album con cui “Ritual” va a realizzare una sorta di tragitto narrativo comune, simile ad un ampio concept diviso in più atti ed episodi.
Movimentato, mai statico e vario, “Ritual” alterna momenti di grande fisicità ad evoluzioni dall’atmosfera rarefatta ed onirica, intervallando l’hard rock che da sempre è nell’ossatura della band, a passaggi cari al progressive metallizzato. Spuntano i Threshold, gli Elegy, persino riverberi di Dream Theater e Shadow Gallery nella coralità degli strumenti e delle voci. Va detto che, pur avendo un leader ben definito, la band composta da Marco Di Salvia, Aldo LoNobile e Nick Mazzucconi , si muove con parecchia compattezza, a significare come l’impostazione stilistica degli Edge of Forever si sia fatta parecchio più ambiziosa e raffinata, ben lontana dall’essere una sorta di solo-project.
La partenza ad effetto, a carico delle dinamiche ed orecchiabili “Where are you?” e “Water be my Path“” strizza l’occhio all’ascoltatore, invogliando a proseguire nella narrazione che ad ogni minuto tende ad infittirsi e farsi più elaborata. Sino a sfociare nella lunga e preziosa suite in sette movimenti che ne rappresenta l’apice definitivo.
Un tourbillon di note che si percepisce come denso, stratificato e ricolmo di arrangiamenti e sfumature. Che tuttavia rimane sempre accattivante all’orecchio, mostrandosi profondo, articolato ma alquanto piacevole, sin gratificante all’ascolto.
Il dualismo suggestivo tra vicende dalla grande forza narrativa da una parte, ed una musicalità potente, intensa e vigorosa dall’altra, definisce i tratti caratterizzanti di una delle migliori band italiane attualmente sulla scena.
L’esperienza d’ascolto che sanno regalare gli Edge of Forever non è mai banale o priva di spunti interessanti. Lo era già dai tempi di “Another Paradise”.
Ed il tempo, mentore di una evoluzione e di una crescita solida e voluta, ha potuto testimoniare come Del Vecchio ed i suoi compagni abbiano intrapreso una direzione assai proficua, di cui “Ritual” altro non è che il frutto più recente ed attuale.
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