Recensione: Ritual Teophagy
Dopo varie vicissitudini legate all’instabilità della lineup, i lombardi Blasphemer riescono finalmente a trovare la quadra di se stessi dando così alle stampe, sempre per la Comatose Records, il loro secondo album in carriera, “Ritual Teophagy”.
Ne bastano pochi ascolti affinché balzino all’orecchio due decise peculiarità del combo brianzolo: una tecnica strumentale sopraffina, e una rabbia sconfinata. Due caratteristiche ben inquadrate con la foggia musicale suonata, il brutal death metal, ma che trovano riscontro in poche altre realtà, attualmente. Inutile pertanto andare negli States o girare per l’Europa: i Blasphemer portano in Italia l’eccellenza assoluta del genere.
“Ritual Teophagy” è un lavoro pensato e ripensato, che non mostra neppure un centesimo di secondo fuori posto. La tremenda precisione con la quale i complessi e micidiali riff di Simone Brigo sconquassano le membra dev’esser frutto di un lavoro abnorme, alle spalle. Basta prendere a caso una song (‘Obscuring the Holy Light’) e ascoltarla con massima attenzione, per percepire la fatica, il sudore, il sangue versato per elaborare ogni singola battuta, ogni singolo passaggio. Tutto è al suo posto, e la sensazione di ordine è davvero incredibile. Forse ciò toglie un po’ d’immediatezza al disco ma in fondo il brutal è così: ragionamento alla massima potenza.
Anche se, tuttavia, bisogna riconoscere che gli incipit che aprono le varie canzoni sono buoni costruttori di mood (‘Obscuring the Holy Light’). Umore cupo, tetro ma, come più sopra accennato, rabbioso. È evidente che il bestiale growling di Paolo “Munnezz” Maniezzo fa la sua parte, ma a essere così aggressivo è tutto l’insieme. Una percezione netta, tagliata con l’accetta, chiara (‘I Deny’): i Blasphemer riescono a esprimere il calore di un odio in primis verso la religione, scorrendo i testi, ma probabilmente anche verso qualcosa di ancora più intimoo, nascosto, profondo.
E questa attitudine è la carta vincente di “Ritual Teophagy”, poiché la tecnica esasperata messa in mostra dai Nostri non soffoca la creatività artistica, la vena compositiva. Che, nonostante la finezza esecutiva pari a quella delle mani di un chirurgo, salta fuori un po’ ovunque (‘Ritual Theophagy’).
“Ritual Teophagy” potrebbe sembrare corto, ma gli Slayer hanno già insegnato, con “Reign in Blood”, che quel che conta è l’intensità, la densità, la compattezza. Cioè, altri valori che si trovano tutti, nel platter. Del resto, la sezione ritmica composta da Clod “The Ripper” De Rosa (basso) e Darren Cesca (batteria) è una specie di mostruosa macchina infernale, capace di dar luogo a una pressione insostenibile, a lungo andare. Meglio brani corti, appunto, quindi, poiché ciò che c’è in tutti i brani del full-length è assolutamente spaventoso, in termini quantitativi di… musica per secondo.
Davvero un’ottima opera, “Ritual Teophagy”. I Blasphemer probabilmente hanno dato il massimo possibile, in termini tecnico/artistici, che è già tanta cosa.
Ma, si sa, i limiti esistono per essere superati…
Daniele D’Adamo