Recensione: Rituals
Dopo più di un anno e mezzo di profonda ricerca spirituale e dopo quattro faticosi mesi in studio di registrazione, posso orgogliosamente annunciare che abbiamo finito di registrare il nuovo album dei Rotting Christ. Ci saranno undici nuovi pezzi, con undici storie uniche e differenti, influenzate da rituali e magie di tutto il Mondo. Le nuove composizioni sono un viaggio mistico alla scoperta della conoscenza nascosta intitolato “Rituals”, che verrà pubblicato il 12 Febbraio 2016. “Rituals” è l’album dal suono più oscuro e personale che abbiamo mai creato e potrete ascoltarlo presto.
Con queste parole, sul finire del 2015, Sakis Tolis, chitarrista/cantante e mastermind dei greci Rotting Christ, annunciava l’imminente nuova uscita discografica della band di Atene. Il gruppo dei fratelli Tolis è uno di quei nomi di fondamentale importanza all’interno della scena metal internazionale, un’entità artistica di primissimo livello che, per un motivo non ben definito o forse semplicemente per sfortuna, ha raccolto meno di quanto realmente meritasse. Una creatura in continuo mutamento in grado di scrivere, nei primissimi anni Novanta, capitoli fondamentali per quella scena black metal mediterranea – caratterizzata da una diversa concezione in musica del lato oscuro rispetto alla ben più nota scena norvegese – per poi iniziare un percorso evolutivo che ha raggiunto il proprio apice con Theogonia, album in grado di mescolare il personalissimo black griffato Rotting Christ a elementi che rimandano alla tradizione greca, una sorta di viaggio che ha portato il combo di Atene alla (ri)scoporta delle proprie origini. Il successivo step evolutivo fu Kata Ton Daimona Eaytoy, un album in cui il desiderio magico, da sempre insito in Sakis, iniziava a prender forma attraverso partiture musicali e linee vocali ossessive, a tratti ipnotiche, come se vi fosse l’intenzione di preparare l’ascoltatore ad un imminente cammino verso la conoscenza, verso una ricerca spirituale che porterà, tramite le esperienze e le tradizioni del mondo antico, a scavare in profondità in noi stessi. Questo, forse, il viaggio accennato da Sakis nella dichiarazione riportata all’inizio, un viaggio che trova la propria rappresentazione in Rituals, dodicesima fatica del combo di Atene.
Per comprendere al meglio il nuovo full length dei Rotting Christ bisogna partire dal titolo, da Rituals, dall’importante ruolo che, fin dall’antichità, la musica ricopre in ogni rituale magico. La sua funzione è quella di condurre l’iniziato in una sorta di trance, amplificandone la percezione, la capacità ricettiva, in modo da poter creare un legame, un ponte tra le energie interiori dell’individuo e quelle presenti nel mondo esterno, portando ad un contatto con l’astrale, donando visioni. Ecco, Rituals è questo. Un lavoro nero come la pece, della durata di cinquanta minuti, attraverso cui, Sakis e compagni, ci conducono per mano in un cammino in grado di portarci a scavare nel profondo di noi stessi, espandendo le nostre energie, rivelandoci un lato oscuro che inconsciamente ospitiamo.
Dieci sono le tracce che compongono Rituals (undici se ci troviamo tra le mani la tiratura limitata a cinquemila copie in box set), dieci tracce sorrette da una struttura semplice ma alquanto atipica, diretta evoluzione di quanto iniziato e accennato in Kata Ton Daimona Eaytoy. Per ottenere questo risultato i Rotting Christ realizzano una nuova e personale forma espressiva, poggiata su ritmiche rallentate, a tratti a confine con il doom, arricchite da delle particolari linee vocali costituite da una linea principale spesso integrata, quasi come una sorta di eco, da una seconda linea – a volte da dei veri e propri cori – composta da poche parole ripetute in maniera ossessiva, come se ci trovassimo nel bel mezzo di un vero e proprio rituale. Altra particolarità del cantato è la presenza nei testi di lingue antiche come l’aramaico ed il greco, soluzione già utilizzata nel precedente lavoro e divenuto oramai caratteristica del nuovo corso della band. Esempio diretto di quanto appena detto, nonché una delle canzoni manifesto dell’album, è sicuramente Ze Nigmar, uno dei singoli che hanno anticipato l’uscita del disco. La track si erge attorno al pesantissimo, ossessionante e tetro riff di chitarra, scandito in maniera solenne dal drumming di Themis. Il testo è scritto in aramaico ed è incentrato sulle ultime sette frasi dette da Gesù Cristo sulla croce, sette frasi ripetute per tutta la durata della canzone. La linea vocale, grazie all’uso di qualche effetto e alla presenza di cori che sembrano uscire da un vero e proprio rituale massonico, dona alla canzone un’oscura aura mistica. Continuando il viaggio attraverso i rituali e le tradizioni magiche di epoche passate, ci imbattiamo in Elethe Kyrie che ci proietta nell’antica Grecia, durante un baccanale dedicato al dio Dioniso. Il testo è ispirato all’opera “Le Baccanti” del drammaturgo greco Euripide, e viene data particolare attenzione proprio alle figure femminili e la loro invocazione al dio. La canzone, quasi a voler sottolineare la frenesia del momento, inizia in modo incalzante con le classiche ritmiche Rotting Christ dove la batteria di Themis ricopre un ruolo importante. Ad aumentare l’atmosfera ritualistica ci pensa uno dei principali ospiti presenti in questo disco ovvero Danai Katsameni, attrice del National Hellenic Theater, che ben interpreta il ruolo di baccante, alternandosi al microfono con Sakis per poi lasciare spazio ai maestosi cori che incontreremo nel proseguo della traccia. La canzone è articolata e si sviluppa in un continuo cambio di atmosfere tra rallentamenti e aperture melodiche tipiche del combo greco, per poi ritornare nuovamente incalzante e chiudere con delle partiture folkeggianti, figlie dirette della Grecia che fu.
Proprio dall’analisi di queste due tracce troviamo la corretta chiave di lettura del disco. Rituals è un viaggio composto da dieci fermate che ci portano in epoche diverse, che affrontano la magia in contesti diversi, partendo da veri e propri rituali fino ad arrivare all’opera letteraria di William Blake e agli scritti di Aleister Crowley. Per ogni tappa vengono create musiche e linee vocali che ne rappresentano alla perfezione l’essenza. Le canzoni sono legate tra loro da un filo conduttore che risponde al nome di ricerca spirituale, di esoterismo. L’ascoltatore non può che rimanerne coinvolto, ipnotizzato, prigioniero. E’ il caso di Knox Om Pax, traccia basata su uno scritto di Crowley, il cui inizio riporta alla mente i Celtic Frost per poi evolvere in una ritmica di ancestrale memoria in cui chitarra, batteria e tastiere ottengono un connubio irresistibile. L’album presenta una qualità elevata in tutta la sua durata, ma forse è la parte finale del disco a regalare le soddisfazioni maggiori. Il trittico Knox Om Pax, Devadevam e The Four Horsemen, rappresentando la parte conclusiva del rituale, ha il compito di trasmettere le visioni, di creare il contatto. E lo fa in maniera magistrale.
Molti sono gli ospiti presenti in Rituals e ognuno di loro contribuisce magicamente (miglior termine non si poteva usare n.d.r.) allo sviluppo dell’album. E’ il caso di Nick Holmes (Paradise Lost) in For A Voice Like Thunder, canzone basata sul prologo di King Edward The Fourth di William Blake, o di Vorph (Samael) in Le Litanies De Satan di Baudelaire. Entrambi si calano nella parte dell’oscuro sacerdote pronto a recitare le proprie invocazioni. In particolare Vorph regala una prestazione veramente incredibile.
Con questa ennesima fatica i Rotting Christ toccano un nuovo apice della loro carriera, inutile nasconderlo. Attuano un nuovo step evolutivo nel proprio percorso artistico, realizzano un disco estremamente personale. Come detto da Sakis, Rituals è il disco più oscuro mai concepito dai Rotting Christ. Riuscire a mantenere una promessa è qualcosa che, in musica, pochi sanno fare. Lui c’è riuscito. Tutto gira alla perfezione: struttura delle canzoni, prestazione dei singoli, scelta dei suoni, produzione. Un disco senza punti deboli. Chi ha apprezzato Kata Ton Daimona Eaytoy non potrà che rimanere stregato da Rituals, un disco in grado di mettere d’accordo sia i fan di lunga data che quelli più recenti della band greca. Un lavoro che ogni cultore del lato oscuro in musica non può farsi scappare. Un lavoro che saprà far parlare di sé per molto tempo, figlio diretto di una formazione che sembra non aver mai smarrito l’ispirazione in tutta la sua oltre ventennale carriera.
Chapeau.
Marco Donè