Recensione: Road Less Traveled
Quando si parla di gruppi prog dal profilo puramente strumentale, dediti cioè, ad un genere di musica che si basa unicamente sul fluire copioso di note prive di testi e voce, si entra di solito, in un campo elitario a cui è consentito accesso solo ai profondi conoscitori del settore.
Un ristretto pubblico di appassionati, molto spesso composto da musicisti ed esperti della materia “tecnica”, di certo più indicati a comprendere meglio le sfumature di abilità e maestria nascoste tra le pieghe di composizioni in cui sono i soli strumenti a dialogare ed a trasmettere messaggi.
Per uscire dal recinto che ne limita le possibilità di fruizione ed emergere dagli ambiti riservati ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori, la strada da perseguire è – come insegnato negli anni da alcuni indiscussi maestri – quella dell’emozione “reale” ed istintiva, ovvero, non maturata attraverso l’apprezzamento di una notevole, ma fredda, bravura in termini di mera tecnica.
Un percorso segnato e ben battuto, che ha visto esprimersi al meglio le personalità altisonanti e conosciute, tra gli altri, di Joe Satriani, Vinnie Moore e Steve Vai e l’essenza di uno sparuto numero di interessanti side project come Gordian Knot e Liquid Tension Experiment, esponenti di spicco di uno stile compositivo basato sul complesso, esclusivo ed intricato fascino prodotto dalle sole note, su cui innestare armonie in grado di suscitare sensazioni gradevoli e spesso di facile ascolto.
Musica allo stato puro, dalla quale sembrano trarre profonda ispirazione i Points North, la nuova scoperta di Magna Carta, una label che in tal senso, si è sempre espressa come un credibile e rinomato marchio di qualità.
Fan dei Rush al punto da inserire in scaletta un brano dal titolo decisamente celebrativo (“Grace Under Pressure”), il trio californiano composto dal chitarrista Eric Barnett, dal batterista Kevin Aiello e dal bassista Uriah Duffy (attualmente anche nei Whitesnake), pare tuttavia non avere la band di Geddy Lee quale influenza primaria del proprio stile.
La gamma di suggestioni di cui il debutto “Road Less Traveled” è intriso, infatti, spesso si rivela avvicinabile ad un evidente stile prog, ma altrettanto spesso si propone affine alla fusion/jazz chitarristica ed all’universo cromato dei più rinomati ed apprezzabili guitar hero.
Una serie di sfumature molteplici che aumentano la cifra tecnica delle composizioni, ma che in ugual misura ne ampliano l’armoniosità, favorendo un esito “easy” e “orecchiabile” vitale e di certo utile nel rendere la proposta molto più diretta ed alla portata di tutti.
Gli effetti si mostrano sin dal primo ascolto alle orecchie anche di chi non padroneggia più di tanto la materia, ma sa apprezzare la musica come semplice veicolo di emozioni piacevoli e gratificanti.
“Road Less Traveled” è proprio per questa ragione, una piccola miniera di gemme preziose: pur senza dover magnificare la bravura di musicisti estremamente preparati, le canzoni riescono a piacere anche dal lato puramente melodico, offrendo all’ascoltatore un’esperienza soddisfacente attraverso un songwriting cromato, ricco di “colore” e soprattutto comunicativo. Gli esempi di un modo di comporre che mescola Rush, Joe Satriani, Eric Johnson, Dave Martone e Michael Thompson propongono risultati davvero notevoli e si mostrano con successo in brani meravigliosamente raffinati come “The Phoenix”, “Grace Under Pressure” e “The Source”, in cui il tema portante della melodia riesce spesso a farsi emozionante e carico di immagini solari.
La pressione rock non manca mai, così come l’eleganza della fusion e del prog: anche nei momenti più accesi e movimentati come “High Wire”, “Jubilee” e “Steve Morsel’s” (supponiamo un divertito omaggio al celebre chitarrista dei Deep Purple), la sensazione è sempre quella di una struttura comprensibile che riesce ad offrire, insieme ad un eccellente lavoro di tecnica strumentale, passaggi in cui poter apprezzare una musicalità scorrevole e mai indigesta. Satriani docet.
C’è poi spazio anche per qualche spruzzata di puro heavy rock, come testimoniato dal riffing di “Maiden Voyage”, un brano che suggerisce materiale interessante già dal promettente titolo. Ed in effetti il connubio tra i grandi solisti, le trame di basso degli Iron Maiden ed alcuni giri di chitarra che paiono presi in prestito da Phil Collen dei Def Leppard è più che evidente, tanto da mandare a referto uno dei pezzi più riusciti dell’intero album.
Miscelando grande bravura tecnica con melodie efficaci ed un songwriting che ai toni troppo sofisticati, predilige un approccio volto più alla facilità d’ascolto, i Points North confezionano dunque un piccolo gioiello di musica strumentale dai tratti mai indigesti o autocelebrativi.
Un disco che pur partendo da una prospettiva altamente evoluta, potrà risultare piacevole anche ai non esperti, a patto di apprezzare le caratteristiche peculiari di una proposta e di un genere non proprio tra i più diffusi.
Plauso per i tre californiani e per Magna Carta, label non nuova al lancio di opere interessanti e ben realizzate come questa.
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Tracklist:
01. Vast Horizons
02. High Wire
03. The Phoenix
04. Grace Under Pressure
05. Barney
06. Jubilee
07. Steve Morsel’s
08. The Source
09. Delay Song
10. Maiden Voyage
11. Sweet Solitude
Line Up:
Eric Barnett – Chitarra
Kevin Aiello – Batteria
Uriah Duffy – Basso