Recensione: Road Salt One

Di Nicola Furlan - 6 Giugno 2010 - 0:00
Road Salt One
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Anno: 2010
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50

È dal 2004, anno d’uscita del mistico “Be”, che i Pain of Salvation sperimentano nuove soluzioni compositive che, a primo ascolto, possono lasciare interdetti, ma successivamente si rivelano d’una certa qualità. Si pensi al DVD chiarificatore intitolato “Be – Original Stage Production”, al tagliente e spocchioso “Scarsick” piuttosto che all’emozionante (quanto autoironico) “Ending Themes (On The Two Deaths Of Pain Of Salvation)”. Certo, mettere alla prova se stessi così tanto porta a dei rischi. È come voler forgiare ali di cera e proiettarsi in alto, cercando di realizzare emozioni, istinti e quindi obiettivi, sogni certe volte irraggiungibili. Personalmente ritengo che, fino ad ora, la band non sia mai stata inopportuna. Né agli inizi di carriera, né tantomeno nell’ultimo periodo produttivo. Ammetto pure d’esser da sempre una persona molto aperta ai cambiamenti musicali, mai ho rabbrividito davanti a cambi stilistici radicali e sperimentali e questo forse m’ha permesso di concedere quasi sempre una seconda chance a dischi che, in un primo momento, mi sono apparsi mediocri. Ho sempre cercato quindi di calarmi nella volontà dell’artista, di leggere le sue intenzioni per capire quanto di vero possa pulsare nei meandri delle armonie e nei testi dei brani. Tirando le somme, il combo svedese non m’ha mai deluso. Però questa volta non riesco a trovare magia, né tantomeno riesco ad emozionarmi.

Se l’obiettivo del quartetto di Eskilstuna era realizzare un disco che potesse manifestare gusti e ispirazioni personali, allora possiamo dire che sono riusciti nel proprio intento. Questa volta la band parla tre chiari linguaggi musicali: uno bluseggiante, uno metal e uno, passatemi il termine, ‘armonicamente introspettivo’; tre quadri multicolore all’interno della stessa cornice. E questa cornice altro non è che il tanto atteso nuovo studio album intitolato “Road Salt One”.
In questo disco c’è un sacco di blues, di rock settantiano e qualche azzardata sperimentazione. Qui il songwriting sembra strizzare costantemente l’occhio ai primi vagiti hard rock, quelli che per logica evolutiva avevano un pregnante profumo di blues sofferente e passionale. Su tutto questo i Pain of Salvation hanno ricamato trame da cui emerge ancora una volta il raffianto talento di Fredrik Hermansson e l’espressività di Daniel Gildenlow. Ma i conti non tornano. Il tutto appare disomogeneo e privo di quel filo conduttore in grado di trasmettere l’elettrizzante passione che il gruppo teneva accesa fino a qualche anno prima. Canzoni introspettive e non prettamente strumentali come Sisters, Of Dust o Road Salt non c’azzeccano nulla con il godibile blues che permea il songwriting di brani come No Way, Tell Me You Don’t Know e tantomeno con le metalliche Darkness of Mine e Linoleum (uscito come EP a fine 2009).
E tutto questo è un vero peccato perché è un piacere ascoltare la brillante teatralità di Daniel Gildenlow, autore ancora una volta d’una prestazione dinamica, appassionata e slanciata in grado di toccare momenti di pathos di tutto rispetto. Buono è anche l’operato dei compagni, sia chiaro. Però, purtroppo, non basta una produzione eccellente, in grado di far brillare ogni singolo suono e sfumatura compositiva, a render grande questo disco che, più che tale, appare come la summa di tre diversi modi di far musica: alcuni introspettivi ed emozionanti, alcuni caldi e passionali, altri più groovy ed aggressivi, ma completamente contraddittori e disgregati. Resto deluso dal fatto che con un piccolo sforzo in più, probabilmente, il risultato sarebbe stato di ben altra caratura. E questa è una sufficienza che a band di tal livello non riesco a giustificare.

Per il resto, InsideOut ha anche contemplato alcune versioni per affezionati oltre la standard in jewel case: una limited edition fold-out digipack addizionata di bonus track e booklet a ventiquattro pagine e l’ormai immancabile versione in vinile.
‘Dust in my throat, Dust in my nostrils, Dust in my mouth, Dust in my eyes’ (Polvere nella mia gola, polvere nelle mie narici, polvere in bocca, polvere nei miei occhi) cita la quarta canzone in scaletta… Daniel Gildenlow, sarà mica quella che ti trovi addosso dopo questo banale scivolone?

Nicola Furlan

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Tracklist:

01 No Way
02 She Likes to Hide
03 Sisters
04 Of Dust
05 Tell Me You Don’t Know
06 Sleeping Under the Stars
07 Darkness of Mine
08 Linoleum
09 Curiosity
10 Where It Hurts
11 Road Salt
12 Innocence

Formazione:

Daniel Gildenlow: Voce, chitarra, basso
Johan Hallgren: Chitarra, voce
Fredrik Hermansson: Tastiere
Léo Margarit: Batteria
 

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