Recensione: Roars From The Old Serpent’s Paradise

Di -BlackDream- - 7 Marzo 2006 - 0:00
Roars From The Old Serpent’s Paradise
Band: Drastus
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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89

Riuscire ad apprezzare la musica andando oltre le semplici note, puo’ a volte sembrare un concetto un po’ pretenzioso e fin troppo vago. Ma è proprio quando ti ritrovi tra le mani un disco come questo, che il tutto assume un aspetto concreto, reale e ci si accorge di quanto sia importante riuscire davvero a sentire qualcosa in piu’ che un cumulo di note. Te ne accorgi perché i particolari, le atmosfere, le sensazioni che riempiono Roars From The Old Serpent’s Paradise sono davvero troppo profonde e intense per essere ignorate. Sono parte integrante e attiva del progetto musicale e formano un contesto ideale su cui far scorrere la musica; ignorare tutto questo per superficialità sarebbe un errore troppo grave.  

L’esordio di questo progetto francese racchiude al suo interno sette tracce di Black Metal ricco di fascino, ispirazione e saturo di negatività; è un disco che colpisce senza ricorrere alla violenza fine a se stessa, un disco che si insinua nell’ascoltatore in modo quasi subdolo, riuscendo ad abbatterlo senza colpirlo in pieno volto. Riesce a fare questo perché la violenza di questo album è soprattutto psicologica, viene da dentro e per essere compresa necessita di essere a sua volta interiorizzata. Il terrore in crescendo che si sviluppa nell’ iniziale title track, appare sottoforma di una lunga traccia strumentale che ci introduce nelle atmosfere dell’album attraverso chitarre graffianti, rumorismi industriali e un’ aria malsana che striscia in sottofondo. L’atmosfera sale, poi si placa e infine esplode con l’inizio della seconda traccia “Aeon’s Corpse” dove a magnifici assalti sonori si alternano momenti quasi riflessivi, impreziositi da melodie nascoste: lontane litanie di terrore che sfociano in un finale fantastico dove fanno capolino annichilenti note di pianoforte. “Raging Spectra” e “Phtisique” sono tracce che dimostrano come il Black Metal possa uscire da quegli schemi preconfezionati in cui troppo spesso viene imprigionato e offrire spunti davvero interessanti, pur rimanendo saldamente legato alle radici del genere.

Senza bisogno di inventarsi chissà quale soluzione innovativa, questo progetto francese sforna un’opera nera, lacerante e di innegabile fascino: lo si avverte nei profondi e malsani stacchi dal sapore industriale, lo si sente nella prestazione vocale sopra le righe, nell’ urlo lacerante, rabbioso, sempre espressivo e mai incomprensibile o monocorde. Nonostante la proposta musicale non certo alla portata di tutti, l’album scorre senza problemi perché le idee sono distribuite con cura, le chitarre sanno fare veramente male e la drum machine è implacabile con i suoi suoni marziali e asettici. Gli stacchi presenti all’interno delle tracce sono realmente funzionali e rappresentano davvero un valore aggiunto; anche le parti che possono risultare meno incisive trovano solide basi su cui appoggiarsi grazie al contesto generale del disco che riesce a ottimizzare e a impregnare di fascino ogni nota. Anche a livello di suoni il lavoro fatto è esemplare, la produzione è sporca ma mai incomprensibile e permette di valorizzare le note del disco, contribuendo così a creare quell’aria terribile e magnifica che si respira per tutta la durata del cd. 

Questo album richiede calma, richiede pazienza, richiede partecipazione: la penultima “Taphos” ad esempio, impiega quasi quattro minuti di rumorismo alienante prima di vomitare il suo carico di dolore. Quella che potrebbe essere “solo” un’ottima traccia tirata e tagliente, assume quindi nuove sfaccettature grazie alla sua lunga introduzione e alla coda finale che rende il tutto ancora più caotico e morboso.   La Francia ci regala ancora una volta un’opera densa di sensazioni, straripante di emozioni e di musica vera. Fatela vostra perché descrivere a parole un disco del genere non è facile, per apprezzare veramente “cosa è” questo cd bisogna necessariamente provare. Posso però dirvi con certezza “cosa non è” l’esordio di Drastus, perché di questo sono sicuro: non è cattiveria spiccia, non è infantile violenza, non è musica usa e getta, non è riproposizione banale e scontata di soluzioni ovvie, non è proclami e dichiarazioni di facciata. Per tutto ciò cercate altrove, perché questo non è Roars From The Old Serpent’s Paradise.  

Paolo –BlackDream- Borella  

Tracklist:
01. Roars From The Old Serpent’s Paradise
02. Aeon’s Corpse
03. Raging Spectra
04. Phtisique
05. Le Genie Du Mal
06. Taphos
07. March Of The Tyrannic

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