Recensione: Rock Candy
A due anni dal suo ultimo album solista “O” (2020), Orianthi Panagaris, talentuosa chitarrista e cantante australiana dalle origini greche, già famosa per le collaborazioni con Carlos Santana, Richie Sambora, Michael Jackson, riconferma la sua identità stilistica all’ interno di “Rock Candy”. Una caramella dal gusto zuccherino di rock, blues, pop & country con un aiutino di elettronica.
Una sapiente selezione di sapori che riesce ad accattivare, mantenendo sempre un ottimo equilibrio tra chitarra e voce, evitando sempre assoli prolungati all’ inverosimile e linee troppo “invadenti” rispetto a quelle vocali.
Un risultato frutto di un ottimo arrangiamento, svolto in collaborazione con il talentuoso Jacob Bunton, compositore, songwriter e polistrumentista vincitore di un Emmy Award, che nel suo album si è occupato di fornire la quasi totalità degli strumenti ad eccezione della batteria, in cui vediamo spiccare il nome di Kyle Cunningham.
“Rock Candy” apre con una breve traccia introduttiva: “Illuminate, Pt. I” che con il suo splendido assolo “luminoso”, alla Joe Satriani, ci spalanca la finestra su “Light It Up”, introduzione con riff accattivante, tosto e super femminile, cui si aggiunge la voce moderatamente pop rock di Orianthi. Quel mood alla Kelly Clarkson che da quella piccantezza necessaria a far prendere fuoco rapidamente all’atmosfera e sfocia in “Fire Together”. Apertura con fraseggio dolce e ammaliante, ma pericoloso: does it feel good / does it feel good, baby? / so kiss me like a vampire bite, ci dice la nostra splendida chitarrista platinata (di capelli e di fatto, avendone vinti parecchi). Meglio stare attenti!
Torniamo romantici per il tempo di una “Where Did Your Heart Go”, in cui il modo di modulare la voce ci ricorda vagamente Miley Cyrus. Struggente nella parte acustica, un altra bella ballad assieme a “Living Is Like Dying Without You”. Giusto il tempo di passare a darsi un cambio d’abito e siamo in “Red Light”: intensa, graffiante con una batteria scalmanata e dura cui la voce armoniosa va a dare contrasto. In “Void” aggiungiamo un gusto in più e passiamo ad un’ atmosfera trance alla “Bad Guy”, batteria martellante e basso corposo che evolve in una ritmica molto ballabile, chitarre distorte e un ritmo incalzante. “Witches and Devil” e “Getting to Me” per non farsi mancare nulla aggiungono un tocco di metal più hard con qualche ottima schitarrata che farà piacere agli amanti di uno stile più pesante ma al contempo seducente. “Illuminate part II” va a chiudere con un assolo definito ed affilato, riprendendo il discorso iniziale ma questa volta richiudendo la finestra e facendoci piombare in un atmosfera moderatamente tetra e un finale degno di un’ opera classica.
Un connubio di sapori sicuramente variegato nelle influenze ma che piacerà a chi predilige un rock leggero e smaliziato.