Recensione: Rock ‘n’ Rumble
Ok, questa volta i cuochi sono quattro e vengono dalla Svizzera per prepararci un gustoso pasto a base di Hard & Heavy anni Ottanta reinterpretato e rimodernato, tanto nel sound quanto nella produzione. Come per gli altri quattro album, in cucina troviamo Gianni Pontillo a graffiare dietro al microfono, Bruno Spring ad occuparsi dei riff chitarra, Mauro Casciero a guidare la sezione ritmica dietro le pelli e Andrej Abplanalp a completare la formazione al basso. Nel loro ristorante si servono solo piatti abbondanti, ricchi di gusto e spesso in salsa piccante, quindi alla fine vi ritroverete sazi, appagati, stravolti e… fin troppo felici! Certo, qui le portate non sono per palati raffinati (o per deboli di cuore), ma vanno buttate giù con ettolitri di birra o di buon rosso novello e la pressione vi salirà alle stelle ma… Ehi, da quando il rock è musica per fighette!? Ed ecco cosa prevede il menù dei quasi 50 minuti di questo disco.
Si parte con la opener “Play It Loud” che è registrata con un finto pubblico, come se fosse presa dal vivo e, come i migliori antipasti, offre un’ottima idea di quello che ci aspetta nel resto del pasto. In pratica è un pugno in faccia dal vago retrogusto di AC/DC, che vi farà saltellare, scuotere la testa e cantare sul trascinante ritornello, così come apprezzare il lavoro del chitarrista. Segue la title track, che curiosamente è datata 1984 e in effetti un po’ si sente, ma più per il mood generale e le linee vocali di bridge e ritornello che non per i suoni. Dopo “Rock’n’Rumble” (1984), in cui si risentono i Van Hallen di quel periodo, troviamo “No One Can Take You Away From Me”. Si tratta di un aperitivo leggero e di ampio respiro con cui i nostri ci concedono un momento più introspettivo e in cui apprezzare anche i virtuosismi della chitarra. Il tutto va gustato con qualche stuzzichino piccante prontamente servito nella lunga “Fight” caratterizzata soprattutto dall’interessantissimo crescendo che ci porta alla prima vera aggressione sensoriale. Questo piatto è “Gimme a Yeah”, un primo ruvido, ma ben confezionato, in cui ci sono tutti gli ingredienti di un ottimo brano, dal solo agli stop’n’go, sapientemente dosati per farci nuovamente saltare in giro per la… sala da pranzo. E non ci si ferma nemmeno per la successiva “Womanizer” che tiene alto il ritmo cardiaco senza però scaldarci come le pietanze che l’hanno preceduta. Per calmare le papille gustative in un pasto così non poteva mancare un secondo dal gusto delicato come la ballad “Turn The Pages”, dal pregevolissimo arpeggio di chitarra. In cucina però non vogliono che al tavolo ci si rilassi troppo e allora ecco che si ritorna ad urlare con il ritornello di “Wild One”, strumentalmente il piatto più Heavy di questo pasto… che purtroppo sta già volgendo al termine, quindi: bene così! Siamo infatti arrivati al dessert e “Reason To Stay” ci offre un classico tiramisù riccamente impreziosito dal solo davvero ispirato e dalla struttura articolata tra parti più veloci e altre più frenate. Conclude questa abbuffata la cattivissima e tiratissima “Karma” che rappresenta lo “sturabudella” del disco, perché, dai, cosa c’è di meglio di una buona pogata a stomaco pieno subito dopo mangiato!?
E siamo sazi, di più non potremmo mangiare, ma siamo anche contenti perché ci siamo goduti delle ottime pietanze in cui gli ingredienti sono stati dosati con mestiere, la preparazione è stata molto più che buona, le materie prime erano di grandissima qualità e le ricette, pur classiche, sono state sapientemente rielaborate secondo il gusto personale dei cuochi. Ovvio, da questa cucina non escono raffinati manicaretti di nouvelle cuisine, però se cercate abbondanti porzioni di ottima trattoria da Gambero Rosso senz’altro troverete pane per i vostri denti. Nota di merito finale anche per il resto del personale del ristorante che, dai suoni ai volumi, sforna una produzione e un mixaggio ottimi e sempre appropriati al tenore del prodotto. Da non perdere.