Recensione: Rock the American Way [Reissue]

Di Stefano Ricetti - 18 Luglio 2014 - 16:30
Rock the American Way [Reissue]
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Anno: 2014
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Francese di nascita e americano d’adozione, il chitarrista Jack Starr si pone in evidenza all’interno dei transalpini Les Variations per poi trasferirsi negli Usa e mettere le basi di quelli che diverranno i Virgin Steele. Compagni d’avventura il cantante David DeFeis, Joe O’Reilly al basso e Joey Ayvazian alla batteria. L’esordio omonimo degli ‘Steeler coincide con quello della label Music for Nations, a cavallo fra il 1982 e il 1983 e da quel momento, nonostante qualche passaggio un po’ acerbo, Jack Starr diventa Jack Starr, ossia, come si diceva e si scriveva una volta, un guitar-hero. Le luci della ribalta iniziano a splendere anche per DeFeis riguardo il cantato e più in generale per i Virgin Steele, che sgomitano per conquistarsi il meritato posto al sole. Guardians of the Flame, il secondo capitolo discografico del combo newyorkese segna, per certi versi a sorpresa, l’uscita di Starr dai VS. Due galli nello stesso pollaio probabilmente non potevano resistere oltre e Jack decide quindi di intraprendere la carriera solista, forte anche del nome che si era fatto con i due album con lo spadone orizzontale all’interno del logo.

Radunati intorno a sé musicisti d’eccezione del calibro del favoloso Rhett Forrester, già cantante dei Riot negli storici  Restless Breed/Born in America, insieme con la coppia Carl Canedy/Gary Bordonaro, ossia i bombardieri ritmici dei Rods, Starr dà alle stampe, a semplice nome “Jack Starr”, Out of the Darkness, roccioso Lp di HM in your face, nel 1984. E’ dello stesso anno l’esibizione, disastrosa – per meri problemi tecnici e organizzativi, completamente indipendenti dalla band, va sottolineato – dei Nostri al Breaking Sound Festival di Parigi.  

Così come avvenne riguardo lo split con i Virgin Steele, l’anno dopo Starr stupisce un po’ tutti i fan cambiando completamente la formazione dei musicisti che lo accompagnano, il moniker e lo stile del prodotto finito. Nomen omen: Rock the American Way, del 1985, è infatti un disco fottutamente all’americana, così come il mercato richiede in quel periodo. La line-up annovera Frank Vestry alla voce, John Rodriguez al basso, e Tony Galtieri alla batteria.

La vera notizia è però questa: l’italianissima e gloriosa Minotauro Records ripropone Rock the American Way in versione remaster, forte dell’appoggio dello stesso Jack Starr, all’interno dell’ormai usuale confezione da urlo in cartonato rigido a due ante, simil Lp, ovviamente a misura di Cd. Oltre all’album del 1985 il packaging comprende un dvd che ripropone due performance live complete dei Jack Starr’s Burning Starr, molto probabilmente riversate da videocassetta, che rendono pienamente l’idea riguardo l’impatto della band in quel periodo sulle assi di un palco. Il tutto si completa con sorprendente lenzuolo cartaceo 37×37 cm con tutti i testi dei brani, foto della band, articoli, news, flyer, manifesti di concerti e recensioni dell’epoca.

Al di là dell’agghiacciante copertina, pensando poi a cosa avvenne l’11 settembre del 2001, per quanto concerne la parte musicale Rock the American Way è platter spudorato, a partire dai testi sino ad arrivare a pezzi di heavy rock da arena quali Rock and Roll is the American Way e She’s on Fire, che nulla hanno da invidiare ai coevi di Lizzy Borden e Ron Keel. Frank Vestry possiede il physique du role adatto e conseguentemente la ruffianeria degli ‘Stars non teme limiti di sorta, on stage come in studio, alimentata da pose plastiche, look leopardato e ammiccamenti vari. Come da prassi middle eighties, poi, non mancano la ballatona (In your Arms Again), i cori e i controcori (Woman), gli obbligatori richiami ai Motley Crue (Fight the Thunder) e il bel pezzo tirato (Live Fast, Rock Hard).

Rock the American Way è album sì sguaiato – tenendo presente che si tratta di un prodotto griffato Jack Starr – ma pur sempre costruito sull’arte chitarristica dell’ex Virgin Steele, personaggio chiave dell’HM a stelle e a strisce.            

Interessante riportare, pari pari, quanto scritto dallo stesso Starr in fondo alla back cover del disco, a significare quali fossero di dibattiti più ricorrenti riguardo la veridicità e la purezza di una proposta musicale, in quel momento storico: “Play this record lous for the best result. PS: there are no keyboards on this LP. No use of a locking tremolo on guitar and no use or mention of the word “baby” in the lyrics!”

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

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