Recensione: Rock Will Never Die
Siamo nel 1984 quando, a distanza di soli 4 anni dall’inizio della sua carriera solista, Michael Schenker mette sul mercato (tramite la solita Chrysalis Records) il sesto album della sua fortunata (e non) carriera. Il disco in questione è il secondo lavoro dal vivo (a fronte di soli quattro dischi studio) del chitarrista tedesco in versione Michael Schenker Group (terzo in assoluto se consideriamo lo strabordante “Strangers in the Night” con gli UFO), e prende il nome di “Rock will never Die”. Strano oggi pensare a due live nel giro di soli 3 anni (soprattutto vista l’eccelsa qualità del precedente “One Night at Budokan”), probabilmente la mentalità di oggi è diversa rispetto ad una volta, fatto sta che Rock raccoglie e consegna ai posteri (diversi posteri, visto che le charts parlano di una top 25 britannica e poco meno in Svezia) l’esibizione di una band sull’orlo dello sfascio tenutasi all’Hammersmith Odeon di Londra in data 22/23 Ottobre 1983. Perchè band allo sfascio? Semplicemente perché “Rock Will never Die” rappresenta la fine della prima incarnazione dei Msg. Infatti, a seguito del tour di “Built to Destroy”, il quintetto (in questo caso sestetto vista anche la presenza di Derek StHolmes) si disperderà per gli affari propri, lasciando Michael a tre anni passati a visionare artisti su artisti, anni che si concretizzeranno, alla fine, nella figura di Robin McAuley, che sarà la seconda anima di quelli che diventerranno i McAuley Schenker Group.
Vabbè non divaghiamo e torniamo al disco, come già detto contenente l’esibizione all’Hammersmith. Sono solamente nove song, che mescolano molti brani degli ultimi “Assault attack” e (soprattutto) “Built to Destroy” (per un totale 5 su 9) ad altre immortali song provenienti dal primo repertorio, con sommata la mitica “Doctor Doctor”. Dunque un prodotto piuttosto differente da “One night at Budokan”, ma senza dubbio non paragonabile in qualità di prodotto ad esso. Perché? Le ragioni sono diverse. Intanto la durata dell’album (poco più di 40 minuti contro ben oltre un’ora di musica), poi la prestazione dei nostri, che è decisamente inferiore rispetto a quella giapponese di “One night…”. Intendiamoci, non sempre si può essere al 100% e non è assolutamente vero che Barden/Schenker/Glen/McKenna/Nye/StHolmes si comportino da schifo, è solo che da artisti così ci si aspetta sempre il meglio. Analizzando meglio la situazione vediamo che non è affatto disperata. Delude molto, dal punto di vista vocale, Gary Barden, mai eccezionale ma qui come poche volte stonato e a tratti anche fastidioso (vedi ad esempio in “Attack of the Mad Axeman”). Decisamente meglio fargli incitare di folle, come d’altronde è sempre stato da copione, per lui. Schenker esegue sui suoi standard, senza strafare, lo stesso fa McKenna, mentre vi sono solo elogi da spendere per le prove del rullo compressore Chris Glen, che davvero dal vivo acquista un’altra dimensione, e per il pirotecnico Andy Nye, talento sconosciuto ma che sa armeggiare davvero egregiamente con le sue tastiere. Le pecche di “Rock Will Never Die”, oltre a una produzione tutt’altro che eccezionale (una tirata di orecchie al produttore Jack Douglas), sono fondamentalmente queste, tanto vale dunque passare, avuti gli anticipi di Glen e Nye, ai pregi maggiori del disco, che sono la dimensione live dei pezzi e il calore da essi sprigionato. Dimensione live : Potrei sembrare in controsenso con quanto scritto fino ad ora, ma credo di dire il vero affermando che i 9 brani, per quanto non suonati al 100% delle possibilità del combo, sono sicuramente superiori (nella maggior parte dei casi) alle relative controparti in studio. Infatti, a parte l’ordine della scaletta decisamente azzeccato (viste le tracks a disposizione), si nota subito come le song non seguano mai schemi precisi, venendo spesso (specialmente a fine album) allungate e distorte, grazie ad assoli e improvvisazioni eseguite con grande maestria non dal musicista di turno, ma da Michael Schenker, e credo di aver detto tutto. Da sballo sono senza dubbio le versioni di “Captain Nemo”, grande prologo a una carina ma migliorabile “Rock My Nights Away”, di “Are You Ready to Rock” e “I Gonna make you mine”, per non parlare di una superba “Doctor Doctor” che vede anche la partecipazione di due illustri signori segnati all’anagrafe come Rudolph Schenker e Klaus Meine (c’è anche un gran bel video di questa traccia con ospiti). Carisma del disco : non c’è niente da fare, datemi del pazzo se volete, ma per quanto non ben prodotto l’album mi dà una sensazione di benessere e mi causa un grandissimo coinvolgimento ogni volta che lo ascolto. Canzone dopo canzone mi vien sempre da pensare quanto siano superiori rispetto alla concorrenza i live appartenenti alla sfera dell’hard rock, forse proprio per il modo di concepire ed interpretare il live stesso e probabilmente tutto questo tipo di musica, con grinta e allo stesso tempo infinita spensieratezza e voglia di divertire. E anche qui non si fa eccezione, basti sentire il pubblico londinese, caldissimo (meglio del giapponese per me) e sempre incitato dall’intrattenitore Barden, che, come detto poco sopra , con le masse se la cava davvero niente male. Chiudendo gli occhi pare quasi di essere lì in mezzo a quella gente.
Tutti questi aspetti contribuiscono a colmare il lato negativo del prodotto, descritto nella prima parte della recensione, portandolo da una sufficienza stentata ad una valutazione più che buona. Certo, non è disco da acquistare ad occhi chiusi : se non avete alcun live degli Msg e ne state cercando uno io vi consiglierei senza alcun dubbio “One Night at Budokan”, più completo e meglio realizzato. Altrettanto vero però che se non avete i live e potete prendere questo, vi direi “prendilo!” in quanto comunque buon sostituto. Se poi, nel limite dei casi, siete pazzi di Schenker come me, non posso che dirvi di prenderli tutti e due.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Captain Nemo
2) Rock my nights Away
3) Are you ready to Rock
4) Attack of the Mad Axeman
5) Into the Arena
6) Rock will never Die
7) Desert Song
8) I Gonna make you mine
9) Doctor Doctor