Recensione: Rocket Ride

Di fi-ghter - 2 Febbraio 2006 - 0:00
Rocket Ride
Band: Edguy
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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69

A pochi mesi di distanza dal pregiato antipasto intitolato Superheroes, i Kings of Fools, gli Edguy, tornano alla ribalta con la settima stella della, sino ad ora,  splendente costellazione.
Rocket Ride, questo il titolo della nuova release, succede ad un Hellfire Club che ha letteralmente sbalordito coloro che scrivono queste righe sino a prospettarlo come un possibile classico adattato, in un futuro nemmeno troppo lontano,  a “metro di paragone” del genere.
Come anticipato, il recentissimo EP ha ingolosito non poco gli esperti del settore innalzando a dismisura il livello di attesa riversata sul settimo sigillo che, chiariamo subito, non è all’altezza delle aspettative.
Avremo modo di spiegarvi i motivi delle nostre perplessità nelle righe successive all’imminente track by track che, mai come questa volta, riteniamo opportuno, utile e praticamente obbligatorio al fine di dispensare una versione pressoché completa del lavoro che sta precocemente scomparendo dagli scaffali dei negozi specializzati di mezza Europa.

La partenza è affidata, a dispetto di quanto detto in precedenza, ad uno dei brani più riusciti dell’intera discografia: Sacrifice. La sensazione di ritrovarci al cospetto del naturale successore di Hellfire Club diventa certezza quando Tobias Sammet, dopo un attacco moderato, sfodera la grinta che lo contraddistingue sino al rilassato bridge che, lascerà il posto al punto di forza del brano rappresentato da un coro che “straborda”  in quanto ad epicità tanto da rimembrare un certo “Avantasia”.
Il riff di Rocket Ride, di chiaro stampo hard rock, detta il ritmo, insieme alla batteria di Felix Bohnke, per un up-tempo in fin dei conti gradevole ma infelicemente convenzionale soprattutto nei pressi di un ritornello non perfettamente riuscito e quasi esasperante. Non è il caso del mezzo tempo Wasted Time che, pur non inventando granchè, si lascia ascoltare e cantare allegramente sino al raggiungimento della pirotecnica Matrix, primo vero punto debole del compendio musicale. Da apprezzare il cortissimo break centrale di chitarra e nulla più. Dov’è finita la famosa ispirazione dei “ragazzacci” di Fulda?
Return to the Tribe riesce a risollevare, almeno in parte, una situazione non grave ma tendente ad una certa piattezza, sino ad oggi mai riscontrata.
La somiglianza con Rise of the Morning Glory è quantomeno imbarazzante ma, in questo caso, le soluzioni melodiche convincono pienamente; situazione inversa colta nella successiva The Asylum, ennesimo mid-tempo che, nonostante rilevanti difficoltà iniziali, riesce a tessere una trama apprezzabile nel solo coro.
Rimane macchinosa la manovra anche nella leggera Save Me che non convince completamente. Il brano si muove in un prevedibile crescendo giocando, per quattro minuti, con l’ascoltatore alternando strofe sospirate a melodie barocche. Catch Of The Century mostra il lato più heavy e ottuso per una hit solo in parte riuscita a causa delle ripetizioni ossessive del chorus; simpatico invece il finale nel quale Tobi non ne vuole sapere di fermarsi. Finalmente gli Edguy elevano sensibilmente il livello del disco con un bel tris in successione. Si comincia con l’incalzante Out Of Vogue: perfetto connubio tra tastiere e riff che non lascia scampo anche nella fase di assolo per un power potente e melodico ben interpretato con voce ruvida da Sammet. Segue il riuscito singolo Superheroes che con un giro di basso, ed un refrain ben sottolineato dalle backing vocals, scorre molto bene per la sua breve durata. Trinidad è la sorpresa del cd, la Save Us Now di Mandrake, che con una tecnica minimale riesce a strappare un sorriso convinto con il suo coro solare ed esagerato di pura matrice happy metal. Il lavoro si chiude con l’hard rock piacevole di Fuckin’With Fire (Hair Force One). Avevo letto commenti entusiastici che paragonavo il suddetto pezzo a Lavatory Love Machine. Purtroppo ci troviamo costretti a considerare la chiusa di Rocket Ride, dal testo comunque spassoso, solo come buona. 
 
Inutile fare giri di parole: spiace dirlo ma l’ultima fatica dei tedeschi non ha quella carica esplosiva dei suoi predecessori. Secondo noi il motivo di questo mezzo passo falso non risiede tanto nel cambiamento del sound che rimane un power melodico tedesco di base ma, cosa più preoccupante, nel songwriting poco ispirato rispetto al passato. A parte qualche buona/ottima song si annoverano troppi filler; brani che a seconda della retorica del recensore di turno possono essere definiti carini, piacevoli o accattivanti ma che tra due mesi non sentiremo già più il bisogno di ascoltare. Sarà un caso ma una hit in definitiva sempliciotta come Superheroes in questo cd risulta essere una pura boccata d’ossigeno, mentre nei capitoli precedenti della discografia dei teutonici sarebbe passata senza lasciare segno. Forse sarebbe stato meglio mettere come bonus track (al posto della versione live di Land Of The Miracle assolutamente inutile per chi ha Burning At The Opera) la splendida Judas At The Opera presente nel singolo. Le stesse quattro mani che quasi 2 anni fa avevano tessuto le lodi di Hellfire Club, come detto, sono costrette ad ammettere che, dopo tanti buoni dischi, anche per gli Edguy è giunto il momento della pubblicazione di un cd al di sotto delle loro capacità. Il prodotto offre degli ottimi momenti di musica ma non è il caso di prenderci in giro perchè da quella che è quasi universalmente considerata come la band del futuro del power metal si deve pretendere di più. Il calo ci può stare e gli Edguy hanno le possibilità, e l’età, per riprendersi alla grande nell’immediato. Ciò non toglie che dopo il buon singolo, che ci aveva illuso, la delusione è forte. Rocket Ride è un disco discreto e questo aggettivo, che comunque è più che positivo, stona con il nome della band. Il formato digipack, (a parte l’odioso contenitore in cartone del cd che rovinerà lo stesso), è ben confezionato con un booklet dotato di testi, foto, biografia in inglese e tedesco e schede personali molto divertenti dei membri del gruppo. La produzione è stata affidata all’ormai noioso Sascha Paeth che ha fatto il suo solito ottimo lavoro rendendo il sound potente. Tecnicamente i nostri non devono più dimostrare niente; Sammet ha nel proprio repertorio svariati tipi di cantato e gli automatismi del gruppo sono praticamente perfetti. Ciononostante il gap qualitativo tra Rocket Ride ed i quattro dischi precedenti fin dai primi ascolti si fa evidente ed è destinato a crescere con il tempo.

Paolo “FIVIC” Beretta e Gaetano “Knightrider” Loffredo

TRACKLIST:
1. Sacrifice
2. Rocket Ride
3. Wasted Time
4. Matrix
5. Return To The Tribe
6. The Asylum
7. Save Me
8. Catch Of The Century
9. Out Of Vogue
10. Superheroes
11. Trinidad
12. Fuckin’ With Fire (Hair Force One)
13. Land Of The Miracle (Live in Brazil)

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